LA GRANDE BELLEZZA
Regia: Paolo Sorrentino
Lettura del film di: Franco Sestini e Adelio Cola
Titolo del film: LA GRANDE BELLEZZA
Titolo originale: LA GRANDE BELLEZZA
Cast: regia, sogg.: Paolo Sorrentino – scenegg.: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello – scenogr.: Stefania Cella – fotogr.: Luca Bigazzi – mont.: Cristiano Travaglioli – mus.: Lele Marchitelli – cost.: Daniela Ciancio – effetti: Rodolfo Migiari, Chromatica – interpr. princ.: Toni Servillo (Jap Gambardella), Sabrina Ferilli (Ramona), Carlo Verdone – durata: 142' – colore – produz.: Nicola Giuliano, Francesca Cima per Indigo Film, in coproduzione con Babe Films, Pathé Pictures, France 2 Cinéma, in collaborazione con Medusa Film – origine: ITALIA, 2012 – distrib.: Medusa (21-05-2013)
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Nazione: ITALIA
Anno: 2012
Premi: • OSCAR 2014 Miglior film straniero • NASTRI D’ARGENTO 2013: Miglior Attore (Carlo Verdone) e Attrice (Sabrina Ferilli) non protagonisti, Fotografia (Luca Bigazzi) e Sonoro in Presa Diretta (Emanuele Cecere). • GOLDEN GLOBE 2014 Miglior Film in Lingua Straniera. • BAFTA 2014 Miglior Film in Lingua Non Inglese.
È la storia di Jep Gambardella – e dei suoi compagni di bagordi – il quale è diventato famoso per un solo libro scritto in gioventù (“L’apparato umano”) che adesso ha cessato di aspirare a grande trionfi letterari e al suo posto si propone come giornalista di costume, critico teatrale e opinionista di costume, ma soprattutto è “il re delle feste romane”, dove si consuma tutta una serie di fesserie e di sciocchezze tese unicamente ad un divertimento carnale.
Il film inizia con una splendida inquadratura che riprende la città dal Gianicolo; l’effetto dell’immagine è veramente mozzafiato, tant’è vero che l’autore ci mostra un turista giapponese che, nell’affacciarsi alla terrazza, sviene per l’emozione.
L’essenza del film è già visibile nei primi quindici minuti del film, dove in una festa barocca e cafona, il campionario freaks di amici e conoscenti con cui ama trascorrere infinite serate sul bordo del suo terrazzo con vista sul Colosseo; il silenzio di una Roma assolata, vuota, di una lirica bellezza di marmi e di palazzi si alterna al frastuono della festa di compleanno del protagonista, dove si vede che i “trucidi” la fanno da padroni quindici minuti potenti, spudorati, che ci sbattono in faccia la pochezza e la vacuità del jet set romano e dei personaggi che lo animano. A ritmo della dance più scatenata la cinepresa ci conduce in ogni angolo del party, e l’effetto è devastante: siamo dentro la festa e ne spiamo la volgarità e i sorrisi perduti, ma allo stesso tempo è come se percepissimo il tutto da un acquario, o alla tv cui è stato tolto l’audio.
L’unica cosa che manca sono “i romani”, quelli normali, il netturbino, il barista, il fioraio, insomma, quella gente che non viene neppure presa in considerazio0ne da Jep Gambardella.
Il film non ha una vicenda o una qualche narrazione ma si svolge tutto tra i palazzi ed i salotti della nobiltà e della borghesia VIP; aggiungo che in nessuno dei personaggi si avverte il minimo desiderio di fare qualcosa di diverso – ovviamente a cominciare da Jep – il quale si pavoneggia circondato fidagli amici di sempre, tra i quali spiccano Romano, un attore di teatro che ricorda il Moraldo di felliniana memoria, il quale alla fine del film deciderà di ritornare al proprio paese di origine dai genitori che lo stanno aspettando e Lello, sempre a caccia di gonnelle e di “avventure”, il quale non ha nessuna voglia di smettere e nessun rimpianto della vita del passato. In queste “riunioni”, dove le performances si alternano alle chiacchierate su problemi di metafisica; in quest’ultima attività, si assiste ad un continuo parlarsi addosso, senza mai fare un minimo di “mea culpa”-
In ognuna di queste “riunioni” c’è sempre una serie di personaggi, alcuni impensabili, come il cardinale gourmet che conosce alla perfezione il modo di soffriggere una lepre, oppure la santa centenaria che mangia solo radici ed ha solo due denti di sotto e nessuno di sopra.
Inoltre, se continuiamo in questa galleria di strani personaggi, abbiamo il più grande poeta vivente che non parla mai, la bodyartista nuda che si esibisce sbattendo la testa contro le mura dell’acquedotto romano, ed anche la bambina che fa action painting scagliando secchi di colore contro una tela bianca ed il lanciatore di coltelli che li infila tutti attorno al corpo della padrona di casa.
Se ci contentiamo di alcune frasi dette da Jep e dai suoi amici, possiamo anche dire che c’è della volontà di fare delle espressioni intelligenti, ma queste sono di una così bassa caratura che assomigliano di più a quelli che troviamo nei cioccolatini; un piccolo esempio che vale per tanti altri: Jep va a trovare un vecchio amico che non vede da diversi anni e lo ritrova direttore di un Night nel quale lavora anche la figlia con la quale avvierà un periodo di frequentazione prima di ritrovarsi a letto insieme. Con Jep che al suo risveglio la mattina seguente, dice: “è stato bello non fare l’amore con te”; per la verità la donna non sembra dello stesso avviso.
Da più parti si è cercato di paragonale il film di Sorrentino con “La Dolce Vita” di Fellini o con “La Terrazza” di Scola; direi che la differenza più plateale è che nei due film passati, si hanno anche delle persone “vere, reali” anche se nel film di Scola era preminente la politica e la cultura, come pretesto di vita intaccata da indifferenza e corruzione.
E nel film di Fellini la sequenza finale ci mostra che esiste sempre la possibilità – per ognuno di noi – di cambiare vita e di tornare alla verità (sequenza della ragazzina attraverso il fosso).
Nell’opera di Sorrentino, i personaggi sono tutti disperatamente indifferenti al domani – ad esclusione dei Romano – e non hanno la minima prospettiva per il futuro.
E inoltre, mentre l’opera di Fellini e quella di Scola hanno una precisa struttura narrativa, in questo di Sorrentino, si viaggia un po’ a braccio.
Gli attori sono tutti molto bravi e ben diretti, la fotografia è eccezionalmente curata, la fotografia alterna musica sacra con musica pop, creando un suggestivo amalgama. (Franco Sestini)
La misteriosa introduzione con vocalizzi musicali insoliti su immagini 'vaghe' attira la curiosità dello spettatore. La ripetizione insistita e prolissa lo indispone. Nei primi lunghi minuti di proiezione egli stenta a rendersi conto di che cosa si tratti. Sembra che il regista giochi a nascondino! Ecco Roma! Il colpo di cannone sul Gianicolo introduce il protagonista del film: è un uomo distinto, anziano e triste (Jep Gambardella) cammina lungo le sponde del Tevere e incontra, o gli si presentano inopinatamente (ma -poi capirò- 'tematicamente'), persone sole o in gruppetti che gli confidano i loro problemi, anche con performance 'spettacolari, ai quali egli partecipa e che commenta..
E' evidente che sta cercando. Poi, dopo d'aver trovato quello che cercava, LA GRANDE BELLEZZA, che diventerà il soggetto del suo secondo romanzo, sembrerà soddisfatto...o rassegnato. Negli incontri, molti gli chiedono il motivo che gli ha impedito di comporne altri dopo il primo "L'apparato umano". Una distinta signora cinquantenne si vanta d'averne pubblicati undici. Egli, dopo aver scoperto finalmente la materia del nuovo romanzo da comporre, commenta con glaciale umorismo:"E' tutto trucco!". La conclusione è riferita alle persone incontrate, che si comportano come personaggi di commedia. Quello che ha viso è tutto trucco. Il protagonista, alter ego del regista, giudica lo spettacolo con cinico distacco.
Due scene di esasperante esibizionismo impressionano lo spettatore: sono dirette con evidente giudizio di condanna. Vediamo un lungo porticato; gli ampi spazi bianchi dei muri tra una colonna e l'altra fanno luogo e cornice alle foto del pariniano 'giovin signore' del palazzo che ricoprono completamente i vuoti. "Mio padre mi ha fotografato appena nato e poi ogni giorno. Quando ho avuto quindici anni mi sono fotografato io stesso ogni giorno". Passiamo in rassegna con il protagonista le migliaia di piccole fotografie a colori del neonato e dell'aitante adolescente cresciuto sotto l'occhio della camera oscura. Il giovane, educato così dalla tradizione di famiglia, ha continuato a trascorrere la sua inutile vita secondo il programma della costante apparenza.
I 'potenti' giocano con tutto, anche con sorella Morte. La partita contro di Lei finirà con la sconfitta. Intanto però..."giochiamo!" E' l'argomento della tragicomica spaventosa scena che affonda il coltello nella schiena della pachidermica borghesia romana.
E' preceduta da visioni d'interni di sontuosi palazzi storici e nobiliari abitati da sfaccendati signori blasonati (vedi il caso dei "Colonna", famiglia classica di governatori e di papi), e dal lacrimevole episodio della pazzia di Andrea nudo. La camera ardente, frequentata da numerose nobili comparse in maschera di piagnoni, esibisce al centro della folla funebre la desolata vedova, privata dalla morte del suo nobile consorte. L'ignobile messinscena termina con la frase consolatoria sussurrata dal protagonista all'orecchio della signora in gramaglie mentre sembra volerle rivolgere sentite parole di condoglianze: '"Quando si sentirà sola, io sarò sempre a sua disposizione!", e chiaramente allude al sesso compensatorio!
Chi nel bel mondo non appare, non si fa ammirare e non coglie a piene mani i piaceri della vita, non sa vivere! I problemi esistenziali che il protagonista del film incontra nei personaggi sono tutti quelli possibili nella vita umana affrontata senza ideali e priva di valori da coltivare. Sono troppi, in verità, ma veri; corrispondono alla realtà e non soltanto in riferimento alla Roma del regista.
I pregi dell'ultimo film di Sorrentino sono numerosi: fotografia splendida, recitazione e regia da oscar, tutti i personaggi al posto giusto, nessuno fuori ruolo. Ognuno di essi meriterebbe d'essere ricordato per credibilità artistica e perfezione interpretativa. La colonna musicale è ben scelta. L'IDEA CENTRALE del film è espressa in modo chiarissimo. Questa è la caratteristica principale d'un lavoro che documenta la chiarezza del pensiero che l'autore ha voluto comunicare circa l'argomento scelto e il tema svolto con la cooperazione dei collaboratori. La condivisione a livelli differenti è una'altra cosa..
Se il film pecca, pecca per eccesso di materiale cinematografico in fase di sceneggiatura. E' il motivo per cui l'idea centrale risulta sottolineata e confermata più che progressivamente dimostrata.
E' spontaneo il ricordo del film ROMA di Fellini, che ha voluto mostrare la sua visione della vita romana del tempo. Anche nel film del quale ci stiamo interessando entrano in scena suorine e prelati ecclesiastici. Notiamo che il cardinale di Sorrentino non è parente di quello di OTTO E MEZZO, se non per la delusione che lascia in eredità a chi lo interroga. Quello di Fellini e l'altro di Sorrentino deludono il protagonista perché bellamente drìblano la domanda circa la fede e parlano d'altro. Il primo è malato e preoccupato della sua salute; il secondo si dimostra esperto in argomento venatorio e conseguenti ghiotte pietanze culinarie. Interrogato due volte su questioni teologiche, non risponde e si interessa d'altro... più importante per lui 'ignorante' e cerimonioso. Quando tutti, tutti, andranno a baciare la mano tesa al pubblico dalla "santa" in trono al pubblico, anche il cardinale di santa romana chiesa la bacerà con devozione. Poi sarà tra gli ospiti d'un party, al quale parteciperà con passione. La santa suora ultracentenaria si trascinerà su per o gradini della "scala santa di San Giovanni per guadagnare l'indulgenza parziale", A chi parlerà della virtù scelta come sposa da san Francesco d'Assisi, ricorderà con un fil di voce rauca che "la povertà non si può raccontare,va vissuta
La differenza tra i due cardinali sopra ricordati è notevole: il primo è idealizzato; il secondo è realistico e quindi poco credibile. Il primo è personaggio filmico, frutto della fantasia del regista; il secondo è, nell'intenzione del regista, personaggio 'di cronaca'.
Sotto certi aspetti sono tutti veri e tutti finti i personaggi del film, come quelli d'ogni altro film. Nel nostro caso il protagonista ricorderà la passione che li ha animato tutti con la sentenza che il regista gli mette in bocca: "Si tratta sempre di amore!". Il contesto dei fatti lascia chiaramente intendere il senso della parola amore: sesso.
Tutti i personaggi sono di estrazione borghese benestante. Ogni personaggio è al posto giusto nel film, nessuno è fuori posto, eppure tutti esistono e stanno in piedi (!) perché appoggiati al protagonista che tutti regge e rende vivi. Da soli non sarebbero significativi. Sono 'vivi' perché il protagonista commenta e condivide la loro presenza. In questo caso possiamo fare il confronto anche con opere letterarie. Si pensi, ad esempio, ad una Agnese o Perpetua protagoniste in certi episodi e nel ruolo di spalla in altri. Ognuna è perfetta in sé perché resa 'viva' da don Abbondio o da altri strutturalmente più importanti di loro, senza privarle del ruolo di protagoniste in certi episodi manzoniani. Penso al grande innominato e in filigrana alla povera Lucia Mondella: si illuminano a vicenda e si rendono indimenticabili a vicenda. Con le debite differenze qualche cosa di simile succede nel film di Sorrentino: i personaggi si appoggiano e sono sostenuti e a loro volta sostengono il protagonista del film. Risultati eccellenti si riscontrano tra i film prodotti nel periodo del neorealismo. E' la vita quotidiana la grande bellezza che, vista con occhi d'artista, sale i gradini della scala dell'arte. Vera o verisimile, corrispondente alla vita reale o frutto d'invenzione e occasione d'ispirazione, l'opera diventa talvolta ammirabile.
Il film può vantare molti meriti anche in campo artistico, ma soprattutto semiologico per chiarezza di comunicazione ideale del suo autore.
Nessun compiacimento fotografico nelle nudità, esibite per documentare la vita corrotta dei romani del film: ricchi, privilegiati e protetti... e benedetti dall'alto clero! Le suore e suorine cantano e giocano con le fanciulline in fiore, tutte candore di nivee gonne e di immacolati paludamenti angelici. Le suore ripetono alla fine del film, a modo d'inclusione canora, l' inquietante vocalizzo iniziale mentre la camera panorama gli archi del ponte del biondo Tevere; da millenni Roma vede l'acqua del fiume scorrere indifferente verso il mare
Splendida è la recitazione del protagonista (tale, anche se la sua reazione arriva soltanto alla fine). Jep Gambardella vive a Roma da decenni "con la volontà non soltanto di partecipare alla bella vita mondana dei romani, ma agognando di diventarne il re!". Alle soglie della vecchiaia, ora prende tutto con scetticismo e cinico distacco d'indifferenza. Di professione è scrittore: nota tutto con fredda ironia. A sessantacinque anni d'età "non può più fare le cose che non lo soddisfano". E' annoiato e deluso da quella vita insulsa e banale. E' arrivato alla capitale da giovane, ha fatto la sua carriera raccogliendo decorazioni di medaglie di latta da gente stravagante, vuota di qualsiasi valore umano, disperatamente rassegnata al proprio fallimento. Dalla Roma notturna del film (uno stupendo spettacolo di volgarità e di pseudo misticismo) esala il fetore cadaverico di morti viventi. Egli si esprime e parla e commenta giocando su due registri vocali. Di solito farfuglia a fior di labbra con una pronuncia pesantemente romanesca in modo che, allo spettatore non romano, fugge spesso la comprensione delle parole, pur affermandone il succo. Parla 'chiaro', invece, quando è in dialogo con qualcuno di cui lo spettatore desidera ascoltare le insipide/sapide battute. Vedi, ad esempio, i suoi incontri con l'amico Romano, (un insolito Carlo Verdone drammatico), che, dopo essere vissuto molti anni a Roma, " disgustato torma al meridione dai suoi" Vedi il dialogo con le donne con le quali Jep non disdegna di amoreggiare, dei nobili Colonna in lutto e i signori da lungo tempo rotti ad ogni esperienza. Durante il film, (ripetizione noiosa per lo spettatore che ne conoscerà il movente e lo scopo soltanto alla fine), diversi personaggi rimproverano al protagonista la mancata pubblicazione di altri romanzi dopo il primo. Egli si giustifica affermando di non aver mai più trovato materia raccontabile che gli fornisse l'ispirazione ("la vibrazione", l'aveva chiamerà una signora che all'inizio del film s'era fatta analizzare da un trasformista nel ruolo di pluri specializzato professore in medicina!).
Finalmente Jep ha scoperto "La grande bellezza"...che non esiste, ma forse è quella di raccontare la vita! Così nascerà il suo nuovo romanzo.
Le sequenze degli incontri del protagonista con i personaggi sono scandite da intermezzi con valore universalizzante: esibizioni canore e gruppetti di svolazzanti suorine che giocano a rincorrersi con le bambine nel labirinto d'un giardino fiorito. Ognuno gioca e si diverte come può: i bambini così e gli adulti cosà (sesso soprattutto: vedi l'ultima inquadratura del film in cui una giovane disinibita si offre ad un suo coetaneo:"Ora ti mostro qualcosa!").
Per lo spettatore l'unica vera grande bellezza è quella del film proiettato.
Per la formazione personale del giovane spettatore sono utili due osservazioni. Anzitutto il fatto che il regista non approva (vedi i C2) il modo di vivere presentato dal suo film; in secondo luogo la mancanza d'una proposta alternativa, indirettamente intuibile, dalla critica verso la prima.
LA STORIA DEL FILM è già stata evidenziata: L'ANZIANO PROTAGONISTA, SCRITTORE IN CRISI D'ISPIRAZIONE CREATRICE, deluso della vita finora condotta secondo programmi mondani causa di frustrazione esistenziale, DECIDE di descrivere oggettivamente, dopo aver scoperta, 'la grande bellezza' della vita dei ricchi romani che la trascorrono senza ideali e senza valori, alla condotta dei quali egli s'era per troppo tempo omologato.
IDEA CENTRALE: non vale la pena d'essere vissuta una vita senza valori e senza ideali. (Adelio Cola, 3 giugno 2013)