GRAVITY
Regia: Alfonso Cuarón
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 414 - 2013
Titolo del film: GRAVITY
Titolo originale: GRAVITY
Cast: regia: Alfonso Cuarón – scenegg.: Alfonso e Jonás Cuarón –– mont.: Alfonso Cuarón e Mark Sanger – fotogr.: Emmanuel Lubezki, ASC, AMC – mus.: Steven Price – scenogr.: Andy Nicholson – cost.: Jany Temime – suono: Chris Munro – effetti speciali: Tim Webber – interpr. princ.: Sandra Bullock (Ryan Stone), George Clooney (Matt Kowalsky) – durata: 91’ – colore – produz.: David Heiman e Alfonso Cuarón – origine: USA, 2013 – distrib.: Warner Bros.
Sceneggiatura: Alfonso e Jonás Cuarón
Nazione: USA
Anno: 2013
Presentato: 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2013 – FUORI CONCORSO – Film d’Apertura
È la storia della dottoressa Ryan Stone, specializzata in ingegneria biomedica, e di Matt Kowalski, veterano di missioni spaziali, entrambi imbarcati su una navicella americana per una missione al ritorno della quale Kowalski spera di essere collocato a riposo dopo aver battuto il record di permanenza nello spazio detenuto da un astronauta russo. Durante il volo, l’equipaggio viene informato che due satelliti russi si sono scontrati e i detriti sono pericolosamente a spasso nello spazio. L’incidente sarà argomento di dialogo tra i due astronauti durante la loro prima passeggiata spaziale, ma avranno modo di conoscersi meglio soprattutto raccontandosi fatti della loro vita: Ryan racconterà di avere avuto una bambina che le è morta in tenera età e di provare per questo un grandissimo dolore, mentre Matt racconterà di essere stato abbandonato dalla moglie. Ma nel momento di tornare a bordo, la navicella viene colpita e distrutta dai famosi detriti. Cosí i due rimangono gli unici superstiti dell’equipaggio, ma senza nessun collegamento con la terra. Matt non si perde comunque d’animo: sceglie di dirigersi verso la stazione internazionale e per fare questo organizza un viaggio con la collegata «legata a guinzaglio». Ad un certo punto però, per l’eccessivo consumo di ossigeno da parte della donna, Matt decide di sacrificarsi tagliando il cordone, volando nello spazio, e lasciando a Ryan l’intero serbatoio. Turbata dal gesto altruistico di Matt, Ryan segue le istruzioni ricevute e si dirige verso la stazione spaziale per riprendere il collegamento con Houston e ricevere istruzioni per il rientro sulla Terra, ma quando è prossima al ricongiungimento, una nuova scia di detriti investe la stazione e la distrugge. A questo punto, come le aveva sempre consigliato Matt, Ryan si dirige verso la stazione spaziale russa, che a sua volta ha dei problemi, e allora opta per quella cinese. Con grandi difficoltà e un mezzo molto particolare, riuscirà alla fine a tornare sulla terra atterrando in una landa desolata e poi cadendo in acqua, in una specie di lago, circondato da terre brulle e inospitali. In ogni caso si tratta del “ritorno a casa”.
Il film, pur privilegiando l’aspetto della vicenda, ci pone alcune idee tematiche – tutte parziali ma pur sempre tematiche – che rendono l’opera decisamente valida sotto l’aspetto contenutistico: anzitutto l’aspetto del sacrificio (Matt che si sacrifica per lasciare l’ossigeno a Ryan) e poi quello della ricerca del nuovo, sia esso come spazio da conquistare o di uno strumento da conoscere e utilizzare.
Il film insiste molto sugli strumenti che l’uomo costruisce per i propri fini e poi abbandona nello spazio – come abbandona sulla terra – con l’aggravante che questo atteggiamento gli si ritorce contro: i detriti spaziali che imperversano in cielo diventano l’elemento determinante, quasi a dire che se tutti gli oggetti che l’uomo ha lanciato nel cosmo e poi abbandonato al loro destino si scontrassero produrrebbero un effetto devastante anche per la terra.
Un altro elemento che caratterizza il film è l’ambiente spaziale che, con il suo silenzio cosmico, sembra l’unico capace di generare sentimenti positivi come la voglia di confidarsi o addirittura il sacrificio come normale atteggiamento di vita. Insomma, siamo in un’altra dimensione rispetto a quella della terra e quindi non c’è da stupirsi se non la comprendiamo appieno. (Franco Sestini)