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TRACKS – Attraverso il deserto



Regia: John Curran
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: TRACKS
Titolo originale: TRACKS
Cast: regia: John Curran – scenegg.: Marion Nelson – mont.: Alexandre de Franceschi – fotogr.: Mandy Walker – mus.: Garth Stevenson – scenogr.: Melinda Doring – suono: Andrew Plain – interpr. princ.: Mia Wasikowsha (Robyn Davidson), Adam Driver (Rick Smolan) – durata:115’ – colore – produz.: Iain Canning e Emile Sherman – origine: AUSTRALIA, 2013 – distrib.: Bim Distribuzione (30.4.14)
Sceneggiatura: Marion Nelson
Nazione: AUSTRALIA
Anno: 2013
Presentato: 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2013 – CONCORSO

È la storia – vera e basata sul racconto della protagonista – di Robyn Davidson e della sua straordinaria impresa: traversare in solitario l’Australia da Alice Springs a Uluru con prosecuzione fino all’Oceano Indiano, utilizzando soltanto dei cammelli.

 

Scopriamo subito che il motivo di questa pazzesca avventura è dovuto ad un “omaggio” che la ragazza rivolge al padre, autore di una straordinaria esplorazione dell’Africa, alla quale è seguito il suicidio, per impiccagione, della madre.

Il film inizia dalla base di partenza dove si traccia il piano di fattibilità dell’impresa: la ricerca degli sponsor che assicurino il minimo indispensabile per il successo della spedizione; tra i tanti ai quali la ragazza si rivolge, solo il National Geographic mostra interesse e si dichiara disposto a finanziare la spedizione, ponendo un unico paletto, la presenza, sia pure saltuaria, di un fotografo che riprenda alcune fasi dell’evento; sia pure a malincuore, la ragazza accetta la condizione e così si passa alla fase operativa.

Anzitutto si debbono trovare dei cammelli che accompagnino la ragazza nella camminata, e qui si fa subito un incontro interessante, quello cioè con un esperto di questi animali che informa Robyn su come addestrarli e, soprattutto, le indica che, qualora nel corso dell’impresa, dovesse incontrare un maschio selvatico, deve subito ucciderlo, senza tanti discorsi, perché egli darebbe subito la caccia ai “suoi” amici cammelli, cercando di ucciderli.

La piccola carovana: la ragazza, tre cammelli adulti ed uno piccolo e un cane, parte e dopo pochi giorni viene raggiunta da Rick, il fotografo che – con sincero interesse – scatta varie foto e s’interessa alle condizioni fisiche e psicologiche di Robyn; ella infatti comincia a chiedersi il motivo di questo viaggio e soprattutto se ne valga la pena, visto che sta diventando una sorta di routine che mette uno dopo l’altro i giorni, rendendoli sempre uguali; al termine della giornata trascorsa insieme i due giovani fanno l’amore e, s’intuisce, mentre per la ragazza non è “una cosa importante”, per il giovane fotografo sembra essere l’amore con la a maiuscola.

Gli eventi e gli incontri della ragazza sono molti; ne sintetizzo qualcuno: quando scappa uno dei suoi cammelli, applica alla lettera gli insegnamenti del suo istruttore che consistono in una semplice frase: fagli vedere chi è che comanda” e quindi lo picchia sonoramente con un pezzo di un ramo.

C’è poi l’arrivo in un piccolo villaggio di aborigeni, dove impara che se vuole attraversare dei “luoghi sacri” (ovviamente per loro) deve essere accompagnata da un anziano, altrimenti potrebbe essere pericoloso; ed infatti questo insegnamento le viene utile: ad un certo punto del viaggio, deve scegliere tra due strade, una più breve ma che passa su alcuni “luoghi sacri” e l’altra, più lunga, che non ha questo vincolo. Ebbene, sarà proprio uno degli anziani del villaggio che le proporrà di fare la strada più corta e la farà accompagnare da un “anziano”.

C’è poi l’incontro con un bianco che vive all’interno di una comunità di aborigeni: le abitudini, gli usi e i costumi del popolo bianco sono dimenticati per far posto a quelli del popolo locale; come è giusto che sia, sembra affermare Roby.

L’ultima tappa del suo immane viaggio è composta da un cammino di circa sessanta giorni in un deserto ovviamente senza acqua, su una pista completamente diritta, percorrendo la quale, si rischia di smarrire la strada, non essendoci punti di riferimento; ne parla con l’amico Rick e questi le assicura il rifornimento di acqua in vari punti strategici preordinati.

Si incammina per questo ultimo grande tratto di strada e ha un incontro singolare: una casa, modesta ma funzionale, abitata da marito e moglie di mezz’età, che la ospitano e cercano di fare di tutto per metterla a proprio agio: la moglie addirittura organizza un sistema per farle uno shampoo veloce ma efficace del quale Robyn aveva realmente bisogno.

Avviene poi la morte del fedele cane che l’ha accompagnata per tutto il viaggio: l’animale s’imbatte in una bottiglia contenente stricnina (chissà chi l’avrà lasciata) e, curioso com’è, fa di tutto per bere qualche goccia del suo contenuto: ovviamente sarà letale e morrà senza che Robyn possa fare niente per salvarlo.

Il tragico evento, aggiunto alla fatica che comincia a farsi sentire, manda la ragazza “fuori squadra”: non si rende più conto di dove si trova e di cosa ci stia a fare; sarà l’arrivo di Rick, il fotografo, che la riporterà alla normalità, oltre a sviare una torma di fotografi e cineoperatori che la stanno aspettando per fotografarla.

E così arriva a Uluro, ma all’amico fotografo che la scongiura di farla finita, ricorda che il suo impegno è di raggiungere l’Oceano Indiano e quindi l’impresa non è ancora finita: la piccola carovana, alla quale manca il cane, riparte per raggiungere le spiagge dell’Oceano dove arrivano e subito si gettano in acqua per festeggiare l’evento e per lenire il caldo patito.

Il film è ben realizzato e riesce a rendere piacevole un soggetto – di per se documentaristico – come se fosse un’opera di fiction; merito della sceneggiatura ed anche della realizzazione.

La bella e duttile Mia Wasikowska fornisce una splendida interpretazione di un personaggio, realmente esistito, che è stato sempre tormentato per poter realizzare questo “sogno” e non è stata contenta fintanto che non c’è riuscita. Ma non è solo una “esploratrice”, in quanto cerca anche di “guardarsi dentro” e trarre delle conclusioni importanti per il suo futuro.

Insomma, un film che scorre come un’opera di fiction e che ci fa stare in tensione per tutta la sua durata, alla stessa stregua di un film di vicenda; non mi sembra poco. (Franco Sestini)

 


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