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DIE FRAU DES POLIZISTEN



Regia: Philip Gröning
Lettura del film di: Gian Lauro Rossi
Titolo del film: LA MOGLIE DEL POLIZIOTTO
Titolo originale: DIE FRAU DES POLIZISTEN
Cast: regia e fotogr.: Philip Gröning – scenegg.: Philip Gröning, Carola Diekmann – mont.: Philip Gröning, Hannes Bruun – scenogr.: Petra Klimek, Adan Hernandez, Petra Barchi – cost.: Ute Paffendorf – mus.: Andreas Donauer – suono: Fabian Schmidt, Daniel Irribarren – effetti speciali: Sebastian Nozon – interpr. princ.: Alexandra Finder, David Zimmerschied, Pia & Chiara Kleemann, Horst Rehberg, Katharina Susewind, Lars Rudolph – durata: 175’ – colore – produz.: Philip Gröning Filmproduktion, Bavaria Pictures, 3L Filmproduktion – origine: GERMANIA, 2013 – distrib. int.: The Match Factory
Sceneggiatura: Philip Gröning, Carola Diekmann
Nazione: GERMANIA
Anno: 2013
Presentato: 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2013 – CONCORSO

Un film, questo, sul quale si può effettuare una lettura immediata (quindi appena terminato) e una lettura più mediata (riflessione dopo il film), come spesso sosteneva P. Taddei nei suoi corsi di lettura del film. Infatti, ad una prima reazione istintiva il film ci appare noioso, particolarmente lungo e forse un po’ patetico volendo rappresentare una vicenda triste in modo forzato. Ma se lo si vuole leggere dopo averlo meditato più attentamente, ci troviamo, a mio avviso, di fronte ad una realizzazione notevole che ci trasmette un preciso messaggio, rivolto al comportamento assurdo di certi uomini verso le donne.

 

L’idea centrale che il regista ci comunica potrebbe essere la seguente: «In una società apparentemente ordinata (sia nei rapporti umani che nella organizzazione della comunità cittadina), circondata da una natura molto bella e ricca di vita (i caratteristici boschi di alcune zone della Germania), dove vivono famiglie che danno l’immagine di essere belle e unite, emergono contraddizioni e tormenti che portano a momenti di violenza da parte dell’uomo verso la moglie, tali da distruggere tutto quello che di bello può rappresentare una vita di coppia, la condizione femminile, l’amore, la maternità e la cura per i figli, pur nel tentativo di tutelare questi ultimi dalle insidie che possono scaturire dalla cattiveria umana. È inevitabile poi, che l’uomo che esercita tali violenze (che non trovano comunque alcuna motivazione e tanto meno giustificazione), se ne vergogna e finisce per vivere una vita triste, fredda e in solitudine in attesa della morte. Resta quindi un invito per l’uomo sia a curare le cose che contano nella vita (e non solo la propria professione) sia a tenere sotto controllo le proprie frustrazioni.»

Per esprimere tale concetto, il regista utilizza una vicenda che ha come soggetti due coniugi e una bambina, che manifestano di volersi bene. Ma, con l’incedere del tempo, tale rapporto muta presentando a volte episodi di una insana ed incomprensibile violenza da parte dell’uomo sulla donna. Ci viene presentato un uomo tutto dedito al lavoro, ai passatempi personali, a sfogare i suoi desideri sessuali (anche quando la moglie non è predisposta), e a manifestare la sua insana gelosia. Nei giorni festivi e di riposo, invece, si manifesta un buon papà e un dolce marito. Il suo comportamento si sviluppa evidenziando un perfezionismo personale incredibile nel vestirsi, nello spogliarsi e nel deporre gli strumenti del suo lavoro (scarponi, casco poliziesco, pistole, fodero, ecc. …). La moglie, invece, si dedica completamente alla cura della casa, della figlia e del marito: trasmette amore con gli atteggiamenti e con le espressioni del suo viso, è servizievole in casa e molto attenta a dare amore alla figlia e ad educarla ai sentimenti più veri e alla conoscenza dei fenomeni naturali (minerali, vegetali e animali). Si rivela però, una donna che, a fronte di tutte le violenze ricevute dal marito, cade nel baratro della depressione, tanto da decidere la soppressione di sé e della figlia, per lei unica scelta rimastale quale estrema espressione d’amore rispetto ad una vita assurda nelle violente relazioni umane e famigliari.

Se questa, in sintesi, è la vicenda, si rileva che il racconto evidenzia:

– una famiglia formalmente perfetta, ma sostanzialmente tormentata;

– paesaggi naturali meravigliosi che presentano belle immagini del bosco e della sua vita;

– una città di un ordine quasi maniacale;

– una cura notevole per i particolari delle immagini e per la recita degli attori (fantastica l’interpretazione della bambina);

– l’assenza di musica o suoni musicali, anche durante i canti individuali e familiari (per altro molto infantili), il che denota la necessità di non addolcire le immagini nella loro bellezza o crudezza;

– la presenza in particolare di un anziano (identificabile con il protagonista maschile invecchiato) che appare dopo la presentazione dei personaggi del film (padre, madre e figlia), e che guarda il pubblico prima con espressione seria e, successivamente con lo sguardo abbassato in atteggiamento di vergogna. Questo personaggio, che rivediamo altre volte durante la vicenda, trasmette un incredibile senso di solitudine e di tristezza. Lo rivediamo poi alla fine del film con gli occhi rivolti al pubblico che sprigionano malessere e freddezza. Gira poi le spalle al pubblico e l’ immagine mostra un terreno innevato freddo e angosciante;

– il film si conclude con l’immagine della bambina con gli occhi sbarrati e terrorizzati, immagine che si contrappone a quella iniziale in cui si presenta con il viso addormentato e dolcissimo;

– infine, la sottolineatura dei passaggi filmici con i 59 capitoli, ha un significato suo proprio: ciascun capitolo regge per conto suo, ma tutti insieme producono la vicenda filmica. Un modo per dire che la vita è fatta di tanti episodi significativi a sé stanti, ma che tutti insieme caratterizzano il vissuto di ognuno di noi.

Mi sento di aggiungere che le interpretazioni sono ottime, le immagini bellissime e azzarderei che potrebbe essere un film considerato per qualche premio. All’uscita dalla sala lo spettatore facilmente sentirà un “amaro in bocca” e una tristezza profonda, ma credo sia stato voluto per rappresentare quale dramma umano vivono le donne che subiscono violenze. (Gian Lauro Rossi)

 


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