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MAMMA EBE



Regia: Carlo Lizzani
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 132/133 - 1985
Titolo del film: MAMMA EBE
Titolo originale: MAMMA EBE
Cast: regia: Carlo Lizzani - scenegg.: Carlo Lizzani, Iaia Fiastri, Gino Capone - scenogr.: Massimo Razzi - fotogr.: Romano Albani - costumi: Rita Corradini - interpr. princ.: Berta Dominguez (Mamma Ebe), Stefania Sandrelli (Sandra Agostini), Barbara De Rossi (Laura Bonetti), Ida Di Benedetto (Maria Pia Sturla), Alessandro Haber (Mario Bonetti), Luigi Pistilli (Roberto Lavagnino), Laura Betti (Lidia Corradi), Paolo Bonacelli (Don Paolo Monti) - colore - durata: 95' (m. 2819) - VM 14 - produz.: Giovanni Clemente - origine: ITALIA, 1985 - distr.: C.D.E. Compagnia Distribuzione Europea S.p.A.
Sceneggiatura: Carlo Lizzani, Iaia Fiastri, Gino Capone
Nazione: ITALIA
Anno: 1985
Chiavi tematiche: Carlo Lizzani nato a Roma il 3 aprile 1922 e morto a Roma il 5 ottobre 2013 a volte noto anche come Lee W. Beaver

Il «caso Mamma Ebe» è ancora fresco di cronaca e non ha ancora smesso di far discutere l'opinione pubblica su un episodio, sconcertante per tanti aspetti ma al tempo stesso emblematico, e su un personaggio dai contorni oscuri e ambigui: «mamma Ebe», appunto, e la sua comunità parareligiosa di molte donne e pochi uomini, impiegati in attività assistenziali in ospedali e cliniche, costretti al lavoro al limite dello sfruttamento, mentre la «mamma» si permetteva un tenore di vita sfacciatamente lussuoso. Carlo Lizzani, che, nella sua lunga carriera cinematografica, ha sempre attinto a piene mani dalla storia e dalla cronaca, cercando di interpretare o di mettere a nudo situazioni e fenomeni più o meno significativi, non si è lasciato sfuggire questa occasione e ha cercato di ricostruire l'equivoca personalità di «mamma Ebe» e di indagare su alcuni personaggi che, in qualche modo, hanno avuto a che fare con lei. Ma va detto subito: più che fare un film su personaggi ambigui, sembra aver realizzato un film ambiguo e pseudotematico, sfruttando elementi di ambiguità senza dubbio presenti nella «cosa rappresentata».

 

La vicenda. Laura, una giovane «suora» della comunità religiosa di «mamma Ebe», in preda ad una crisi isterica per aver appreso dell'arresto della «mamma» e di don Paolo, assistente e confessore della comunità, tenta il suicidio. Viene salvata, ma, in seguito a tale trauma, subisce un arresto psicomotorio rimanendo per tre mesi senza parlare e senza reagire minimamente. Inizia il processo. Sul banco degli imputati ad ascoltare le imputazioni di associazione per delinquere, truffa, sequestro di persona, ecc. sono: «mamma Ebe»; il suo secondo marito, Lavagnino, amministratore della comunità; don Paolo; Giulio, capo dei seminaristi e guardia del corpo della «mamma»; Bruno, un giovane seminarista; altri membri della comunità.

Laura, chiamata a testimoniare, nel rivedere dopo tanto tempo la sua adorata «mamma», ha una reazione emotiva e psicologica tale da riuscire ad alzarsi dalla carrozzella e a riprendere a parlare normalmente. La sua è una difesa appassionata e senza riserve della «mamma», che ai suoi occhi è una santa donna, vittima della cattiveria e della malvagità degli uomini. Inizia una serie di testimonianze favorevoli e contrarie.

Dopo Laura è la volta di Maria Pia, ex vicaria della comunità, che spara a zero nei confronti della «mamma», denunciandone l'ambiguità del comportamento e la crudeltà dei sistemi di punizione, al limite della tortura e del sadismo. E poi la volta di don Paolo, di Giulio, di Lavagnino, della madre di Bruno, che ha fatto di tutto per sottrarre il figlio all'influsso (per lei malefico) di quella donna incantatrice e maliarda. In seguito testimoniano il vescovo, che ribadisce il suo dissenso nei confronti di quella forma di comunità religiosa (o sedicente tale), e di Bruno, che invece difende la «mamma», accusando Maria Pia di averla abbandonata e attaccata per uno sgarbo subìto a suo tempo. Nel frattempo il padre di Laura, professore di musica, incitato anche dalla madre di Bruno, va alla ricerca di altri testimoni che possano gettare luce su quella storia intricata e oscura: il primo marito della «mamma», accusato di impotenza; lo stesso Bruno, che in privato gli dà una versione dei fatti diversa e un pò sospetta; ma soprattutto Sandra, che sembra rappresentare il bandolo della matassa. Questa, che ora è tornata al suo vecchio mestiere di prostituta, è dapprima riluttante e sospettosa; poi si decide a vuotare il sacco e a confidarsi col padre di Laura, raccontandogli tutte le angherie subite e le nefandezze che si commettevano a villa Ebe. Ma, una volta in tribunale, Sandra non riesce a vincere la paura ispiratagli dalla «mamma» e, invece di accusarla, le chiede perdono. La sentenza è tuttavia di condanna, ma relativamente lieve: dieci anni di reclusione per la «mamma» (che verranno ridotti a sei in appello, con il beneficio degli arresti domiciliari). Ma ciò non servirà alla madre di Bruno a riavere suo figlio, né al padre di Laura a convincere la figlia ad abbandonare la «mamma». Laura, più convinta che mai dell'innocenza della «sua mamma», riafferma decisamente di voler continuare a vivere la vita che ha scelto. Al padre non resta che tornare - solo come e più di prima - alla propria vita e alla propria musica.

Il racconto cinematografico ha una struttura che si potrebbe definire ad incastro per la presenza di numerosi flashbacks che si innestano nella linea narrativa portante costituita dalle varie fasi e testimonianze del processo a «mamma Ebe» e ad alcuni membri della sua comunità. Tale linea portante può a sua volta dividersi in due parti: quella del processo vero e proprio e quella della ricerca di testimonianze e di prove da parte del padre di Laura.

All'inizio - dopo i titoli di testa con il sottofondo di una musica sacra - c'è una specie di introduzione, costituita dall'episodio della crisi isterica di Laura che tenta di suicidarsi. E l'antefatto che produce la domanda da parte del padre di Laura: «Chi è questa "mamma Ebe"?» Ma è anche un modo già chiaramente rivelativo di come l'autore intende rispondere a questo interrogativo che viene subito trasmesso e partecipato allo spettatore. Se già la domanda è espressa in termini drammatici, aggressivi, spettacolari e granguignoleschi, è chiaro che la risposta non potrà essere serena, pacata, seria e documentata. Inizia poi il processo con la lettura dei capi d'accusa e con i primi grossi blocchi narrativi corrispondenti alle principali testimonianze pro o contro gli imputati.

Tra una testimonianza e l'altra prende il via l'indagine privata del padre di Laura, motivo coagulante di un insieme spezzettato di esperienze e di personalità. Tale indagine acquista sempre maggior peso fino ad arrivare, con le confidenze di Bruno e di Sandra, a porsi sullo stesso piano dell'indagine processuale. All'interno sia delle testimonianze principali (fatte in tribunale) sia delle confidenze (fatte in privato al padre di Laura) si innestano quei flash-backs di cui s'è detto e che dovrebbero gettare luce sulla figura e l'opera di «mamma Ebe». Ma si tratta di una luce sinistra che, anziché illuminare e chiarire, rischia di confondere e disorientare. E questo sia per la profonda divergenza (direi quasi contraddittorietà) delle varie testimonianze, sia per le diverse verità che emergono a livello ufficiale e a livello privato. Per quanto riguarda il primo aspetto si può osservare quanto segue.

La testimonianza di Laura è tutta decisamente a favore della «mamma», che viene descritta come donna pia e santa, tutta dedita alla cura e all'assistenza degli ammalati e dei bisognosi. Tale testimonianza può sembrare credibile perché viene da una donna che inizialmente era ostile alla Ebe e solo in seguito viene conquistata dalle sue straordinarie doti (taumaturgiche) e dalla sua eccezionale bontà e forza d'animo. Ma al tempo stesso fino a che punto potrà essere credibile la testimonianza di una donna così fanaticamente attaccata alla «mamma» da restare vittima di una crisi isterica alla notizia del suo arresto con tanto di blocco psicomotorio?

Questa prima testimonianza viene poi contraddetta da Maria Pia che dà una versione completamente diversa dei fatti. Le sue accuse sono lucide e spietate: la «mamma» se l'intendeva con Giulio e con altri; era spietata e sadica nelle punizioni corporali; si serviva di psicofarmaci per tenere in piena soggezione le sue «suore» e i suoi «seminaristi». Ma anche qui, a parte la smentita di Giulio, fino a che punto è credibile questa donna che fino a due mesi prima dell'arresto della «mamma» era stata la sua vicaria generale e solo dopo essere stata messa da parte ha cominciato ad aprire gli occhi e a rendersi conto di ciò che succedeva? Non può forse trattarsi - come afferma in seguito Bruno - di una deliberata vendetta?

Non è certamente più credibile la madre di Bruno, donna volgare e dai trascorsi burrascosi, che il figlio stesso dice di odiare e che per due volte tenta di riavere il figlio con la forza.

Si potrebbe continuare con questo tipo di osservazioni più o meno anche per tutte le altre testimonianze. Ma vorrei fare qualche altra osservazione sul secondo filone, quello dell'indagine privata. Qui le cose sembrano più chiare, ma fino ad un certo punto. Il primo marito della «mamma» sembra dimostrare inequivocabilmente la falsità dell'accusa di impotenza che gli era stata rivolta, ma subito dopo, all'osteria, viene data una versione completamente diversa dei fatti. La confidenza di Bruno, l'ammissione del suo amore per la «mamma», il riconoscimento di una certa ninfomania, fanno decisamente aumentare i sospetti del padre di Laura, ma anche qui non si esce da una sostanziale ambiguità di fondo. Infine, la confidenza più importante, quella di Sandra. Sembra la prova decisiva, quella che convince definitivamente il padre di Laura (e lo spettatore) della colpevolezza della «mamma». Ma, una volta in aula, Sandra non solo non l'accusa, addirittura le chiede perdono. Paura? Certamente. Ma di che cosa, dato che ora la «mamma» si trova sul banco degli imputati e nulla può nei suoi confronti? Sandra si giustifica dicendo che la «mamma» possiede dei poteri straordinari e che parla con il diavolo. Ma il suo fragile equilibrio psichico, le sue paure ossessive, le sue superstizioni che già in passato le avevano fatto credere che la morte del figlioletto fosse imputabile a un castigo divino, non depongono a favore di una sua serena interpretazione della realtà e di una conseguente oggettiva valutazione dei fatti.

Ancora una volta, quindi, ambiguità: dire e non dire; far si che ciascuno prenda ciò che più gli aggrada, ciò che gli è più congeniale; esprimere non tanto con immagini chiare e significanti quanto piuttosto con il gioco delle cariche emotive e spettacolari. Non manca anche una velata critica nei confronti della sentenza del tribunale espressa con lucidità da Laura: «Una condanna alla Ponzio Pilato»: assurda e inspiegabile per una donna innocente; troppo lieve, quasi ridicola, per una donna colpevole dei reati ascrittile. Soprattutto se si tien conto della riduzione della pena (con il beneficio degli arresti domiciliari) ottenuta in appello. La didascalia finale vorrebbe forse accreditare il carattere «documentario» del film, quasi si trattasse di una ricostruzione seria, scrupolosa e oggettiva. Ma da quanto s'è detto finora circa l'ambiguità dell'opera - unitamente all'abbondante e indiscriminato uso di effettacci di vario genere (da quelli relativi alla violenza a quelli di tipo «porno») - dovrebbe emergere chiaramente la pseudotematicità e la pretestuosità di un film, che fa leva sulla curiosità ancora viva della gente per un fatto sconcertante - ma abbastanza rivelativo dell'epoca e della società in cui viviamo - non per chiarire, commentare, valutare, ma per sfruttano in funzione spettacolare, caricandolo di elementi di emotività e di facile suggestione.

Se dal punto di vista cinematografico non si può che dare atto al regista del suo collaudatissimo mestiere, della sua capacità di dirigere gli attori e delle sue doti di intuire gli umori e le attese del grosso pubblico, dal punto di vista tematico e morale non si può accettare né l'esibizione né lo sfruttamento, che di fatto impediscono allo spettatore di diventare adulto, consapevole, critico. (OLINTO BRUGNOLI)

 


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