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STORIE DI VITA E MALAVITA



Regia: Carlo Lizzani
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 31/32 - 1975
Titolo del film: STORIE DI VITA E MALAVITA (RACKET DELLA PROSTITUZIONE MINORILE)
Titolo originale: STORIE DI VITA E MALAVITA
Cast: regia: Carlo Lizzani – sogg.: Mino Giarda, Marisa Rusconi – scenegg.: Carlo Lizzani, Mino Giarda – fotogr.: Lamberto Caimi – mus. Ennio Morricone – mont.: Franco Fraticelli – arredamento: Natalia Verdelli – cost.: Lia Francesca Morandini – interpr. princ.: Cinzia Mambretti (Rosina), Anna Curti (Antonietta Barni), Lidia Di Corato (Laura), Cristina Moranzoni (Gisella), Annarita Grapputo (Daniela), Sandro Pizzocchero (Alberto), Nicola De Buono (Velluto), Enzo Fisichella (il giudice) - prod.: Adelina Tattilo e Carlo Maietto per Thousand Cinematografica- colore – durata: 125’ – lungh.: m. 3370 - VM 18 – origine: ITALIA, 1975 – distrib.: Alpherat – Domovideo
Sceneggiatura: Carlo Lizzani, Mino Giarda
Nazione: ITALIA
Anno: 1975
Chiavi tematiche: Carlo Lizzani nato a Roma il 3 aprile 1922 e morto a Roma il 5 ottobre 2013 a volte noto anche come Lee W. Beaver

Il sottotitolo del film è già palesemente anticipatore di quello che è l'argomento che il regista Carlo Lizzani affronta in questa sua ultima opera. Ma la prostituzione minorile non è soltanto l'argomento del film (di cui il regista potrebbe servirsi per esprimere un'idea tematica del tutto differente): diventa il tema stesso dell'opera in esame, che vuole analizzare questo pietoso fenomeno ed esprimere su di esso un giudizio di condanna. Il film è costituito da sette vicende (sei + una) di altrettante ragazze minorenni che, per diversi motivi ed in situazioni estremamente varie, si trovano ad essere instradate sulla via, senza possibilità di ritorno, della prostituzione.

 

Rosina arriva a Milano dalla Sardegna. È giovane; il padre le è morto in un incidente sul lavoro e le misere condizioni in cui si dibatte la famiglia la costringono a prendere la strada del continente per cercare un lavoro. Lo trova presso una cugina, immigrata lei pure, che si offre anche di ospitarla e la cui attività consiste nel fabbricare musicassette false e contrabbandare sigarette. Fa conoscenza con «Velluto», uno che è del «giro» e che, con false profferte d'amore ed illusorie promesse di matrimonio, riesce ad ottenere prima la sua verginità e poi il suo consenso (con la scusa che si tratta di poco tempo, il minimo necessario per guadagnare i soldi necessari al matrimonio) a prostituirsi.

Accortasi dell'inganno, Rosina cerca ed ottiene (con l'aiuto di un'assistente sociale) un lavoro di commessa in un supermercato. Viene ripresa da «Velluto» ed ancora una volta convinta con lusinghe e promesse a continuare ancora per un po'. Ma la ripugnanza provata nei confronti di alcuni clienti particolari le fanno prendere una decisione definitiva: ritornerà in Sardegna a fare la fame piuttosto che continuare questa vita umiliante. Ma se entrare nel «giro» è facile, non lo è altrettanto uscirne. Ripresa a viva forza dai compagni di «Velluto» viene punita ed «ammonita» con uno sfregio deturpante in viso: ormai per lei non c'è possibilità di scelta; la ritroviamo, involgarita nell'aspetto e nel comportamento, a battere i marciapiedi assieme ad altre colleghe.

Gisella è invece di Bergamo e viene da una famiglia «bene». Ma la stupidità ed il bigottismo della madre che le impediscono di frequentare ragazzi della sua età, la chiusura mentale e la mancanza di un'educazione familiare, la dabbenaggine del fidanzato «ufficiale» voluto dalla madre solo perché ha una posizione ed è stato raccomandato dal parroco, l'estraneità e l'indifferenza del padre solo preoccupato di seguire i propri affari e di giocare coi soldatini, la portano ad accettare la compagnia di un'amica di scuola e della di lei sorella che, dapprima per gioco, poi ricattandola con delle foto compromettenti, la obbligano ad assecondare alcuni facoltosi e generosi clienti. Ma Bergamo è troppo piccola per un lavoro in grande stile e Gisella, ormai avviata ad una... brillante carriera, viene «ceduta», dietro lauto compenso, ad una casa d'appuntamenti di Milano. Qui troviamo anche

Daniela. Proveniente da una famiglia facoltosa (il padre è dirigente d'azienda), Daniela ha provato uno choc tremendo alla constatazione della vera identità dei genitori: all'ascolto involontario di una telefonata del padre, ha appreso che egli è un abituale frequentatore di certe «case» dove se la spassa allegramente con delle ragazzine che hanno l'età della figlia. E la scoperta di alcuni nastri incisi dalla madre per delle sedute psicanalitiche le rivelano la sua vera fisionomia: egoista, cinica, senza amore per la figlia. Daniela decide di farsi assumere in una casa d'appuntamenti con la speranza di incontrare un giorno o l'altro il proprio padre e di smascherarlo e si estrania sempre più dalla famiglia rifugiandosi nella sua passione per la musica. Ma, ormai stanca e malata, decide di smettere questa sua vita rivelando tutto ai genitori, che dovranno pagare una decina di milioni a titolo di indennizzo alla coppia che gestiva la casa di cui Daniela era ospite.

Antonietta viene da un paesino della Lombardia ed appartiene ad una famiglia povera non solo materialmente ma anche, e soprattutto, moralmente. È proprio suo padre, infatti, che per primo abusa di lei facendola rimanere incinta. Antonietta fugge a Milano ospite di una sua amica, Tina, non insensibile alle sue grazie, che la fa incontrare con vari clienti. Dopo il parto, viene venduta ad un «protettore» che fa di lei una vera «professionista». Catturata dalla polizia durante una retata, Antonietta subisce un forte trauma che la fa regredire allo stato infantile: la ritroviamo infine ospite di un ospedale psichiatrico da cui forse non uscirà più.

Albertina, fingendo di essere maggiorenne, è stata assunta come novizia in un ospedale dove cerca di guadagnare qualcosa da passare alla famiglia che si trova nella miseria. Ma il direttore amministrativo, che è a conoscenza della sua vera età, la ricatta fino ad abusare di lei. Diventata pressoché ninfomane, ella cerca avventure con tutti e nei luoghi più impensati. Arrestata, viene rinchiusa in un riformatorio dove incontra

Laura. Quest'ultima viene da una famiglia povera. Il padre è violento e volgare, la madre lavora come una schiava e sta sempre a testa bassa. Il suo desiderio di continuare gli studi viene frustrato per la mancanza di mezzi e l'incomprensione del padre. La sua prima esperienza sentimentale si risolve negativamente per l'abbandono da parte del suo ragazzo. Assunta da un'agenzia che cerca ragazze «alla pari», si trova ben presto coinvolta in un giro «di appuntamenti». Disgustata dagli uomini per tutte le delusioni provate, Laura riversa tutto il proprio affetto sul suo cane che l'accompagna anche in riformatorio. Laura ed Albertina, d'accordo, scappano. Albertina finirà nel «giro», mentre Laura, che non accetta nessuna «protezione» se non quella del proprio cane, a causa dell'uccisione di quest'ultimo da parte dei «protettori», esasperata, si suiciderà.

Queste sei vicende sono, per così dire, incorniciate e collegate tra di loro (anche se questo non si verifica in tutti i passaggi) da un'altra vicenda (ecco perché ho parlato di sei + una): quella di una ragazza tredicenne e di sua madre che se ne vanno per le strade di Milano facendo l'autostop e cercando di adescare dei clienti. Già ammonite e braccate da parte dei «protettori», che non tollerano che qualcuno eserciti il mestiere senza il loro benestare, le due donne, meridionali, che vivono in una casa diroccata in compagnia di una fauna umana veramente pietosa, vengono finalmente scoperte. Si organizza una spedizione punitiva ai loro danni che si conclude con l'incendio della stamberga in cui vivono. Ma uno dei «protettori», rimasto isolato dagli altri, viene aggredito ed ucciso a colpi di badile e di pietre. Le due donne riprendono imperterrite il loro «lavoro», come se nulla fosse accaduto.

Narrativamente il film è cosi strutturato: la vicenda della ragazza tredicenne apre (addirittura precede i titoli di testa) e chiude (l'immagine diventa fissa sui titoli di coda) l'intero film; inoltre serve da filo conduttore tra le varie vicende, collegando tra di loro l'episodio di Rosina con quello di Gisella e l'episodio di Daniela con quello di Antonietta.

Il collegamento Gisella-Daniela è dato (sempre narrativamente) dalla stessa casa di appuntamenti in cui le ragazze si vengono a trovare, mentre quello Albertina-Laura viene fornito dal cane e dal riformatorio in cui entrambe sono rinchiuse. L'unico personaggio che viene introdotto senza nessun aggancio di tipo narrativo quello di Albertina che cerca di adescare (senza fini di lucro) uomini nei luoghi più impensati: supermercato, cabina telefonica, ascensore. Va rilevato inoltre che, di tutte le protagoniste del film soltanto Albertina e Laura entrano in contatto tra di loro (a livello di vicenda); tutte le altre entrano in rapporto solo a livello racconto (per gli agganci di tipo narrativo cui ho già accennato).

Si può affermare pertanto che le protagoniste del film sono sei; la settima, la ragazza tredicenne, non può essere considerata a pari delle altre (sotto questo profilo) in quanto è l'unica che viene presentata non essere soggetta ad alcuna evoluzione psicologica.

La narrazione all'interno delle sei vicende principali presenta delle costanti che si potrebbero definire i perni strutturali dell’ intero film:

a) ogni protagonista viene presentata nella sua realtà di minorenne che si trova invischiata nel giro della prostituzione (nelle sue varie forme);

b) di ogni protagonista vengono analizzate le cause, più o meno dirette, che l'hanno condotta alla situazione in cui si trova. Tale indagine (sotto il profilo semiologico) viene generalmente, anche se non esclusivamente, svolta attraverso l'uso dei flash-back che si ritrova in tutti i sei episodi;

c) di ogni ragazza viene mostrata la drammatica conclusione di coinvolgimento che, apparentemente superabile all'inizio, si rivela via via sempre più ferreo fino a provocare profonde ferite (o addirittura la morte) sia a livello fisico che a quello psichico.

Oltre a questi tre perni, il film sottolinea abbastanza esplicitamente un altro fattore piuttosto importante: il racket della prostituzione minorile è organizzato e diretto da persone che si trova piuttosto in alto nella scala sociale e che sfruttano determinate situazioni di miseria (l'accenno al milione di disoccupati) o di disagio per arricchirsi sulla pelle di povere ragazze. Gli stessi «protettori» sono talvolta dei semplici esecutori materiali di disposizioni che vengono da parte di chi si trova in una posizione al fuori di ogni sospetto (vedi l'episodio di «Velluto» che viene rimproverato perché non è abbastanza attivo). La vicenda della ragazza tredicenne, inoltre, accanto alla già accennata funzione strutturale che svolge, assume un particolare valore emblematico proprio per il modo con cui è raccontata. Il film si apre e si chiude con le immagini pressoché identiche della ragazza e la madre che fanno l'autostop per le vie di una Milano grigia e nebbiosa, riproponendo agli automobilisti che si fermano lo stesso ritornello. Questa è la facciata della prostituzione minorile (sembra dire il regista); di un fenomeno che si ripropone sempre identico a sé stesso nonostante tutto quello di drammatico e di tragico che avviene dietro questa parvenza di normalità.

Ma attraverso l'analisi di queste povere ragazze, il regista cerca di andare oltre la facciata, di scavare più in profondità per mettere alla luce le penose situazioni che si vengono a creare. Ed ecco che emergono i tratti salienti del fenomeno: un'organizzazione ineccepibile con tanto di copertura in alto loco; delle situazioni di miseria materiale e/o morale che determinano un certo instradamento; il tipo di vita, penosa ed umiliante, che queste ragazze sono costrette a condurre; l'impossibilità, una volta entrate «nel giro», di poter ritornare ad una vita normale ed equilibrata. Per quanto riguarda il secondo punto, è estremamente significativa la frase pronunciata nel riformatorio dall'assistente sociale alla suora: «Il novanta per cento delle prostitute ha alle spalle una famiglia inesistente. La mancanza di affetto (Daniela), la mancanza di educazione (Gisella), la miseria materiale (Rosina ed Albertina) e la miseria - oltreché materiale - morale (Antonietta e Laura) sono le cause principali, secondo l'idea del regista, che stanno all'origine di questo fenomeno così vasto e diffuso (anche se apparentemente non sembra). La fine drammatica o addirittura tragica di tutte le ragazze è argomento sufficientemente chiaro per suonare come esplicita condanna di un certo modo di impostare la propria vita. L'unica ragazza che non si vede fare «una brutta fine» è Gisella. Ma non si deve dimenticare che Gisella entra in quella «casa» da cui esce Daniela, che vedremo alla fine distrutta sia fisicamente sia psichicamente: è logico pensare, pertanto, che anche Gisella arriverà ad una conclusione analoga.

Sotto il profilo cinematografico il film lascia piuttosto a desiderare. La recitazione è in certi momenti piuttosto scadente: l'impiego di attori non professionisti, se da un lato conferisce al film un carattere quasi documentaristico, d'altra parte nuoce alla recitazione,non essendo gli attori sempre all'altezza della situazione. Anche i dialoghi sono talvolta poco cinematografici e si prolungano forse più del necessario. Inoltre esiste una certa discontinuità di stile: alcuni episodi sono realizzati con stile documentaristico (persino il sonoro è volutamente trascurato per dare l'idea della registrazione dal vivo), mentre in altri tutto è ricostruito a puntino.

Tematicamente si deve rilevare una certa eccessiva insistenza su fatti, episodi, particolari relativi alle varie forme di prostituzione. Ci sono delle chiare ed evidenti concessioni allo spettacolo (si vedano per esempio tutte le forme di perversione sessuale) che non risultano certamente funzionali ai fini di una denuncia del fenomeno prostituzione.

Sotto il profilo morale il film possiede un certo valore nella misura in cui denuncia e condanna un fenomeno che è certamente da condannare, anche se, per i motivi di natura tematica cui si è accennato, il valore morale stesso viene in certa misura attenuato e sminuito. (OLINTO BRUGNOLI)

 


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