SECONDO PONZIO PILATO
Regia: Luigi Magni
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Edav N: 157 - 1988
Titolo del film: SECONDO PONZIO PILATO
Titolo originale: SECONDO PONZIO PILATO
Cast: regia, sogg. e scenegg.: Luigi Magni – fotogr.: Giorgio Di Battista – scenogr. e cost.: Lucia Mirisola – mus.: Angelo Branduardi – mont.: Ruggero Mastroianni – interpr. princ.: Nino Manfredi (Ponzio Pilato), Stefania Sandrelli (Claudia Procula), Lando Buzzanca (centurione Valeriano), Luisa De Santis (Estherina), Pino Quartullo (Longino), Flavio Bucci (Erode), Mario Scaccia (Imperatore Tiberio), Antonio Pierfederici (Giuseppe di Arimatea), Carlo Panchetti (Gesù), Rita Capobianco (Salomè), Cosimo Cinieri (Caifa), Dalia Lahav (Erodiade), Roberto Herlitzka (Barabba), Lara Naszinski (l'Angelo), Sergio Nicolai (1° legionario), Roberto Salerno (2° legionario), Ricky Tognazzi (3° legionario) – colore – durata: 116' (m. 3480) – produz.: Franco Committeri per Massfilm e Reteitalia – origine: ITALIA, 1987 – distribuz.: UIP (1988), Creazioni Home Video
Sceneggiatura: Luigi Magni
Nazione: ITALIA
Anno: 1987
La vicenda. Ponzio Filato è turbato per la condanna a morte che, cedendo alle pressioni dei sacerdoti Anna e Caifa, ha inflitto al «mago» Gesù nonostante l'onesta, appassionata e coraggiosa difesa di Giuseppe d'Arimatea, magistrato e membro del sinedrio, e nonostante il sogno di Claudia, la moglie. Lo è ancor più per i segni - ai quali però continua a non voler credere - che accompagnano quella morte (il terremoto con le statue degli dei romani che s'infrangono nel pretorio, il velo del tempio incendiato, ecc.). Vuole costa- tare di persona quella morte; e, in quanto alle chiacchiere della «resurrezione», temendo un trafugamento della salma per farla credere, appone guardie al sepolcro.
Ma Gesù risorge davvero tra lo sgomento dei custodi e invita le donne ad annunziare ai suoi discepoli che li precederà in Galilea. Longino, il responsabile della custodia del sepolcro (quello che aveva trafitto il costato al crocefisso), diserta per andare a raggiungere il morto-vivo. Filato pensa subito che sia stato Giuseppe d'Arimatea a trafugare nella notte il cadavere e lo fa ricercare; ma questi non poteva essere stato poiché, condannato a morte dai sinedriti per aver difeso Gesù, era stato rinchiuso nel loro carcere in attesa del supplizio. Gesù, risorgendo, lo aveva miracolosamente liberato. Il pur fedele centurione (come semplice legionario, aveva assistito alla nascita di Gesù, l'aveva rivisto un giorno e s'era sentito dire «lo sono la parola»), fugge anch'egli con Claudia e Giuseppe d'Arimatea verso la Galilea. Pilato cerca di inseguirli con i suoi soldati, ma un angelo lo blocca, scaraventandolo a terra da cavallo. Pur sempre ostinatamente incredulo anche di fronte a quei fatti prodigiosi, fortemente però incuriosito e forse spinto interiormente, va anche lui in Galilea con un grande séguito, adducendo la scusa di voler cercare la moglie fedifraga e di visitare Erode che tante volte l'aveva invitato a godere della sua corte licenziosa. Erode ora s'è tappato in casa per paura di quel nazareno. Qui Pilato non batte ciglio quando Erode minimizza la strage degli innocenti compiuta dal padre e s'addormenta alla.... millesima danza dei sette veli di Salomé.
L'indomani, sul monte, assiste all'ascensione di Gesù e incontra i fuggitivi; ma ormai tutti, anche soldati e seguito, lo abbandonano. S'incammina verso Gerusalemme con solo un asinello scampato alla fuga generale; ma anche questo, a un dato punto, si rifiuta di seguirlo.
A Gerusalemme trova una grande carneficina di giudei e lui stesso viene destituito e arrestato: Tiberio Cesare, infatti, avendo sentito parlare di un medico di Palestina che guariva tutte le malattie, anche le lebbra (da cui egli era afflitto), con la sola parola, era ivi accorso ma aveva trovato che Ponzio Pilato per istigazione dei giudei l'aveva ucciso.
In carcere incontra Barabba. Barabba, e non un'ipotetica «sora Veronica», aveva pietosamente asciugato il volto di Gesù nel suo tragitto al Calvario con un sudano, ricevendone in compenso l'immagine; ora, incarcerato di nuovo come rivoluzionario, per manifestare la propria gratitudine a Pilato che lo aveva graziato al posto di Gesù, gli offre quel sudano affinché ottenga la vita guarendo l'imperatore. E infatti cosi avviene; ma Pilato chiede a Tiberio di essere punito come assassino di Gesù, mentre chiede la grazia che venga sospesa la strage degli ebrei innocenti di quel sangue, di cui sono invece colpevoli i suoi capi. La moglie Claudia lo raggiunge al pretorio col centurione, ma invano tenta di dissuaderlo dal farsi giustiziare. Mentre avverte ormai che quella di Gesù è cosa vera, Pilato, quasi in polemica con tutti quelli che si sono voltati a Cristo senza una matura riflessione («Ci vorrebbero cent'anni — dice — perché io maturi dentro quello che è successo!»), chiede una moneta al centurione per pagare a Caronte il traghetto dello Stige, si da morire «da romano» secondo la tradizione e offre il collo al carnefice. Quando la scure sta per abbattersi violentemente, appare l'angelo e gli dice: «Tutte le generazioni ti chiameranno beato, perché sotto di te hanno avuto compimento le cose preannunciate dai profeti e tu stesso, come suo testimone, comparirai quando ritornerà a giudicare le dodici tribù di Israele e quelli che non hanno confessato il suo nome»; e si copre il volto col rosso mantello in segno di pietà.
Il racconto. Con una mescolanza di elementi narrativi ricavati sia dai sinottici, sia dai vangeli apocrifi (particolarmente da quello di Nicodemo, p.e. per il particolare dei labari che si inchinano fino a terra al passaggio di Gesù all'inizio e, alla fine, del suo sudano che Pilato porta in tasca), sia dei medievali Acta Pilati, con pochissimi adattamenti personali di Magni (salvo ovviamente la struttura narrativa cinematografica), il film è sostanzialmente di vicenda, ma presenta due grossi «perni strutturali» semiologici che ne indicano chiaramente il significato, non solo salvandolo sul filo del rasoio da un'impostazione a «pseudotematica», bensì dandogli un certo valore universale.
Il primo perno è l'uso del romanesco come linguaggio e come — diciamo — modo di vivere (p.e. Giuseppe d'Arimatea viene chiamato «sor Giusé», Pilato «eccellenza»; si parla di «penichella», ecc.); il secondo è la caratterizzazione dei personaggi — e primo fra tutti Pilato — e delle loro azioni, che evidentemente non interessano in funzione della storia, bensì è questa che interessa in funzione loro.
Il primo perno. Nel film tutti parlano e si comportano in romanesco, tranne i sacerdoti, l'angelo e qualche personaggio minore. Pilato, poi, è un magnifico Manfredi popolano trasteverino, villano e spumeggiante, ben poco rappresentante sfarzoso dell'impero, certamente più vicino a Trilussa che a Tacito o a Ovidio. Orbene, è noto che l'interpretazione romanesca sia del parlare sia del vivere — ch'è poi quello di Fascarella e, appunto, di Trilussa, quindi relativamente recente - non è quella degli antichi romani, tanto meno quella imposta dai romani alle popolazioni dominate. Non solo; ma scenografie, ambientazioni (poco palestinesi) e costumi sono ispirati in gran parte alla pittura manierista (particolarmente l'angelo) e orientalista del tardo '800, ai tempi dell'istmo di Suez ma anche ai classici, p.e. a Raffaello nell'ascensione; la sceneggiatura e la recitazione sono pregne di umorismo e di ironia, soprattutto nei confronti del potere di Roma, mentre i sacerdoti giudei sembrano dominare la situazione, così che il vestirsi col baraccano mediorientale, come fanno spesso Pilato e il centurione (ma Erode è vestito alla romana!), insinua ironicamente un assorbimento dei romani nei costumi delle popolazioni soggiogate, quasi contrappasso del «Roma capta ferum victorem coepit [Roma dominata ha dominato il fiero vincitore]»; Tiberio non è andato affatto in Palestina a cercare Gesù e pare sia stato si Tiberio a far giustiziare Filato, ma a Roma e non a Gerusalemme; i dialoghi rispecchiano perenni tematiche ma viste con mentalità di oggi e non con quella del tempo; la musica s'immerge completamente nell'epoca moderna. E chiaro dunque che il film non intende affatto realizzare una ricostruzione storica dei fatti.
Ma nemmeno intende darne un'interpretazione favolistica: c'è infatti troppo rispetto per azioni e personaggi che il Vangelo narra esplicitamente (salvo qualche dettaglio, come quello del lenzuolo non piegato nel sepolcro e nonostante una notevole libertà d'ispirazione); d'altronde, c'è troppa attenzione alla verosimiglianza — sia pure umoristica — nel raccontare azioni e personaggi desunti da extra i sinottici (p.e. Esterina, la ricostruzione esistenziale dei personaggi Pilato, il Centurione, Giuseppe d'Arimatea, Barabba).
Che significato può avere, allora, quest'aver impostato il film in chiave romanesca?
Mi pare che la pur colta e acuta interpretazione di Moravia(1) resti veramente «al di qua dell'espressione», mentre è piuttosto chiaro che quel romanesco — soprattutto poi nel contesto del secondo perno semiologico-strutturale e di questo in quello — attualizzi lungo i secoli fino ai nostri giorni, non tanto la vicenda in sé di 2000 anni fa, quanto piuttosto i comportamenti dei suoi protagonisti, inserendo addirittura il tutto nell'ambito dei rappresentanti di Roma per emblematizzare quell'episodio della storia più a livello di Roma «caput mundi» (cioé centro del potere cui corrisponde un popolo dominato) che a quello di Roma attuale «capitale d'Italia».
Il secondo perno. Che sia la storia a interessare in funzione dei personaggi e del loro comportamento e non viceversa, lo si desume con facilità dai seguenti elementi:
a) le immagini di natura, ivi compreso lo scorpione, sotto i titoli di testa — una natura aspra e dura e anche insidiosa, ma anche bella e spaziosa e, direi soprattutto, elaborata da fattori esterni pur sempre naturali (gli eventi metereologici che hanno scavato e disegnato le rocce e prodotto il deserto, quello stesso di cui Pilato dirà di non riuscire a sopportare l'asprezza) — offrono subito una specie di chiave di lettura: annunciano cioè la storia che seguirà, quale una storia di uomini buoni e cattivi, nel confronto di qualcosa che è «al di sopra» (una sorte di trascendenza non meglio identificata, almeno esplicitamente);
b) il flash-back all'inizio del racconto: mette in fortissimo rilievo il profondo turbamento interiore - ma non rimorso — di Pilato per l'ingiusta condanna inflitta e non propriamente per la vicenda del condannato (se fosse stata quest'ultima a interessare, il flash-back sarebbe stato assolutamente inutile e anche disturbante): Pilato, infatti, così abituato a condannare a fior di pelle, segue col pensiero quello che sta succedendo al condannato di quel giorno («Che ore sono?» - chiede al centurione - «L'ora sesta, cioè mezzogiorno». «Dovrebbero essere arrivati al Calvario!» e più avanti: «Solo tre ore c'ha messo a morire?»);
c) l'ostinata cecità di Pilato e dei sacerdoti e in genere di quelli che detengono il potere (Tiberio però, guarito, ammetterà che Gesù è Dio, quasi a dire che il bisogno e il dolore possono modificare profondamente l'uomo, chiunque sia) di fronte ai miracoli di Gesù: Pilato non ne vuole ammettere l'esistenza pur di fronte all'evidenza (non ammette nemmeno di vedere l'angelo che lo ha scaraventato a terra da cavallo, che gli è davanti e che pure vede; e infatti l'angelo, nel deserto, glielo rinfaccerà); i sacerdoti interpretano e fanno interpretare come magia e come bestemmie i prodigi, che pure erano impossibili a farsi se non con intervento divino;
d) il raccordo tra la prima e l'ultima scena: il turbamento iniziale viene chiaramente sviluppato lungo tutto il film e culmina nella richiesta che Pilato fa d'essere giustiziato per riparare l'ingiustizia commessa (affinché in futuro non si pensi che il male può restare impunito) e per salvare un popolo oppresso; e a quel momento, come punto d'arrivo, arriva la testimonianza dell'angelo;
e) l'accentuazione del far ricadere il sangue di Gesù sul popolo, mentre i veri colpevoli ne sono solo i suoi capi;
f) l'accentuazione di tanti dettagli narrativi che hanno poca importanza per lo sviluppo della storia (p.e. i ragazzini che giocano nel cortile all'inizio, mentre Pilato parla col centurione facendo capire il suo turbamento; quel po' di.... tenero che si sviluppa tra Claudia e il centurione, trovandosi d'accordo sulla figura di Gesù, cioè il come Pilato interpreta in chiave di tradimento... coniugale quel loro convenire religiosamente; Pilato che chiede: «Ma chi è questo Gesù?»; ecc.); ne assumono invece parecchia per caratterizzare il personaggio o il momento e quindi sotto il profilo tematico;
g) Pilato testimonia che Gesù è Dio e uomo (alla sua domanda «Ma chi è questo Gesù?», Tiberio risponde «Dio», Claudia risponde «uomo» e lui annuisce ad ambedue), senza tuttavia rinunciare alle proprie credenze (la moneta per lo Stige).
Dal complesso di questi elementi che esprimono una ridda di idee tematiche parziali sia circa la religione e il cristianesimo, sia circa i potenti e il pantalone che paga sempre, circa - in una parola - l'uomo nella sua complessa realtà individuale e sociale, i due grossi perni strutturali si fondono per coagularsi attorno a un'idea centrale che potrebbe grosso modo esprimersi così: «la storia di Cristo, vista dalla parte di Pilato uomo di potere ma uomo di tutti i giorni [quel «secondo» nel titolo e tutto il tessuto narrativo del film] e, alla fin fine, la storia di Pilato vista in funzione della vicenda di Cristo diventano emblematiche della realtà sociale anche odierna [il romanesco] sotto il profilo d'un giudizio della bontà e della cattiveria morali, considerate ai vari livelli della società, dai bambini ai potenti, insomma: del vero valore umano [«io sono la parola]». Ma si potrebbe forse aggiungere anche (benché la dizione del film, per questo aspetto, non sia altrettanto definita): «tuttavia la sequela formale di Gesù non è determinante a caratterizzarne la qualità [il valore della testimonianza di Pilato, affermato dall'angelo, mentre egli conserva la credenza nello Stige].
Sotto il profilo tematico, il film, sostanzialmente «di vicenda», presenta tutti i rischi di dizione e di interpretazione che ciò comporta. La convinzione tematica dell'autore (soprattutto sceneggiatura e regia) e del principale interprete, Manfredi, è evidentemente profonda, ma, per quanto più sentita che espressa razionalmente nella sua profondità e pur lasciando imprecisato il significato di qualche passaggio, riesce a emergere con sufficiente chiarezza. Come accennato, il film corre il rischio della «pseudotematica» per aver affidato la dizione più ai «modi narrativi» che ai «modi semiologici» (il suo significato lo fa dire alle «cose» narrate più che al «come» [semiologico] le narra). Ma il suo interesse - notevolissimo - è d'affermazione tematica e del fare sana opinione.
Sotto il profilo cinematografico e artistico, inutile sottolineare il grande mestiere e gusto dell'autore, anche nell'intelligente scelta (commerciale) degli attori (Buzzanca e la Sandrelli non convincono molto come entusiasti seguaci di Gesù, anche perché l'autore li presenta come visti da Pilato, ma il film si basa molto sull'ironia e sullo spettacolo) e la bravura di gran parte di questi, primo fra tutti quel simpatico filone di Nino Manfredi. Anche la musica è tutt'altro che disprezzabile, per quanto un uso più discreto, qua e là, penso non sarebbe nociuto.
Film, quindi, di ottimo mestiere, ma non capolavoro d'arte in senso stretto (come del resto non penso fosse intento di chi l'ha fatto). Sotto il profilo morale e sociale, si può supporre che difficilmente il significato del film venga colto dal grosso pubblico (che pur riempie le sale e lo segue con attenzione e generalmente, pare, con interiore consenso) così esplicitamente come noi l'abbiamo «letto» qui sopra. A livello però di effettiva comunicazione - di opinione più che di esplicito contenuto ideologico - presso un pubblico fondamentalmente cristiano anche se secolarizzato, qual'è il nostro attuale, almeno in senso generale pare si debba parlare di una convincente affermazione del valore anche umano oltre che divino (o anche divino, oltre che umano) di Cristo: una specie di rispolveratina efficace di quanto appreso nel catechismo per questa parte, con una precisazione («non basta una sequela formale»), intesa o non intesa esplicitamente da Magni, comunque valida e utile, per quanto non scevra di qualche pericolo soggettivistico.
Trattandosi sostanzialmente di film spettacolare (ne contiene tutti gli ingredienti, per quanto in misura discreta) e non di ricostruzione storica, pare non ci sia bisogno d'entrare in qualche dettaglio che potrebbe anche essere discutibile (una buona consulenza religiosa, tuttavia, in fondo, non sarebbe stata superflua del tutto). Al punto, che, a costo di attirarmi qualche ira, non esiterei a dire che questo film può essere un esempio di come - sotto il profilo dell'uso dei mezzi - dovrebbe essere oggi la predicazione cattolica (come impostazione comunicativa e in opportune circostanze, ovviamente! per recuperare la mentalità cristiana che nella nostra gente s'è persa e si continua a perdere. Discorso diviso se si dovesse trattare d'una «predicazione» a chi non ha mai sentito parlare Cristo o non crede in lui o non lo considera sotto il profilo religioso. Ciò mi pare sufficiente a dichiararne il valore, pur con qualche riserva per l'incisività tematica. (NAZARENO TADDEI S.J.)
(1) In L'Espresso, 7 febbraio 1988: «Avere scelto l'angolo visuale di un personaggio rappresentativo ed enigmatico come Ponzio Pilato, poteva ancora portare a un'operazione espressiva, ma a patto di non confondere il senso comune, retaggio inconsapevole dell'umanità dalle origini a oggi, con il buon senso. Invece, abbiamo qui un'umanità classica, ridotta, appunto, a buon senso, a cui non può non far da contrasto un cristianesimo ridotto a sua volta a favola dei miracoli. E’ vero che il bravo Manfredi con la sua ironia temperata da una commozione un po' di maniera cerca di sfumare il contrasto; è vero che Luigi Magni ce la mette tutta per rendere attraente e attuale la favola (...), concludendo il dramma di Pilato romano fino alla morte con un suo appello ad assolvere gli ebrei del deicidio, accusa che costituisce il nucleo fondamentale del Vangelo; ma il film, forse per timidezza ed eccessivo rispetto dell'argomento, resta al di qua dell'espressione».