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L’EMERGENZA EDUCATIVA E LE NUOVE TECNOLOGIE


di LUIGI ZAFFAGNINI
Edav N: 364 - 2008

L’articolo ampliato e completo di foto, schemi si trova in Edav n. 364 novembre 2008

 
Nessuno storico metterebbe in dubbio che sia stato lo sviluppo tecnico a cambiare, dentro il grande contenitore della storia, i comportamenti e le mentalità dell’uomo. Non dunque l’economia, come vuole un pensiero ottocentesco, sia esso marxista o liberale non importa, bensí piú acutamente l’introduzione di strumenti, di mezzi tecnici, di adeguamenti o invenzioni tecnologiche in seno alle società. Questo è accaduto fin dalla innovazione del modo di aggiogare i buoi nell’agricoltura medievale fino alla diffusione della comunicazione di massa.
Con grande saggezza e realismo, pertanto, Benedetto XVI annuncia che il tema della prossima 43.a Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali sarà: «Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia». A sua volta, monsignor Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, sottolinea questo atteggiamento molto positivo con cui il Pontefice guarda alla nostra civiltà tecnologica e ritiene che esso contenga un invito agli operatori della comunicazione ad assumere una responsabilità culturale nell’uso dei media, che vada oltre la pura professionalità tecnica. Al tempo stesso monsignor Celli coglie il suggerimento alla Chiesa di adeguare ai tempi l’azione pastorale e la raccomandazione al mondo degli educatori e dei genitori di farsi carico di una preparazione adeguata in materia.
Dunque è all’emergenza educativa che il Papa guarda con speciale attenzione. Nessun allarme moralistico, ma una seria riflessione su quanto e come i media potrebbero servire a costruire società e individui migliori.
Già! È proprio questa la sfida del nostro tempo e soprattutto della nostra Italia. Ma chi è davvero preparato, se non coloro che possiedono una robusta scienza della comunicazione e una serena coscienza dei valori? A ben guardare il panorama delle vicende che ci circondano, dalla finanza globalizzata al terrorismo endemico, dalla violenza giovanile all’imbarbarimento dei comportamenti individuali, poco sfugge a una responsabilità diretta o indiretta dei media e degli uomini che in essi operano. E non è solo il fatto che ci siano una fiction di intrattenimento o uno spettacolo di superficiali effetti a possedere le menti degli spettatori; è il fatto che la logica e il linguaggio stessi delle nuove tecnologie rendono possibili quelle comunicazioni inavvertite che fanno scambiare ciò che è falso per ciò che è vero. Se quindi si scambiano queste due nature cosí antitetiche, quale etica e quali comportamenti ne deriveranno, se non quelli fondati sulla costante falsificazione della realtà? Quale appiglio sicuro avrà lo spettatore o il lettore della stampa se non è aiutato a discernere il riferimento alla realtà documentata dall’apporto della opinione e della ideologia dell’autore del servizio o dell’articolo?
Chi si ferma alla presenza in TV delle «Veline» o del concorso di «Miss Italia» dimentica che ci sono assai piú scandalosi tradimenti dell’etica, del costume e dei comportamenti civili dentro i telegiornali e dentro i talk-show a cui si invitano personaggi di ogni genere, religiosi compresi. Perché non è solo quello che conduttori e ospiti dicono, a creare distorsione, ma è il come lo dicono e, soprattutto, il come viene presentato alla percezione visiva e uditiva, che contribuisce ad abbattere certezze e gerarchie di valori. La persecuzione dei Cristiani nel Darfour è posta allo stesso livello dell’abbandono dei cani in tempo di ferie. Non è poi cosí difficile far sorgere superficialità e indifferenza, magari verso problemi di capitale importanza e, al tempo stesso, creare parossismo emotivo su aspetti di minima o insignificante rilevanza! I media sono armi e, se mal utilizzate, molto piú letali di quelle che si usano in guerra, perché colpiscono non il corpo, ma lo spirito e l’intelligenza. E la violenza e l’aggressività insite nei programmi sono tanto piú pericolose quanto piú ordinariamente servite in un contesto di banale normalità, che influisce soprattutto sulla mentalità dei giovani, abituandoli a trascurare la gravità e le conseguenze degli atteggiamenti, quando vengono trasportati e imitati nella realtà della loro vita. 
Ecco allora, che sui due versanti, quello di chi fa comunicazione e quello di chi riceve comunicazione con le nuove tecnologie, occorrono molta perizia culturale, molta onestà intellettuale e senso di responsabilità educativa, per fare dei media uno strumento di servizio e non di potere. La tecnica viene dopo e, se non è supportata da una visione umanistica, diventa solo un pericoloso esercizio che rischia di fare danni, anziché aiutare a capire.
Per questo l’informatica, il web, la telefonia cellulare, che rappresentano il livello piú avanzato delle tecnologie di massa, se non vengono piegate letteralmente a una visione positiva al servizio della verità, non possono servire a quell’obiettivo di Benedetto XVI di costruire, tramite esse, nuove relazioni per una cultura del rispetto, del dialogo e dell’amicizia. Si tratta di meravigliose risorse strumentali per affinare sempre piú la conoscenza e la rete delle relazioni. È ormai compito di ognuno fare in modo che lo siano durevolmente e diffusamente e che non contribuiscano, invece, a confondere l’uomo, scagliandolo nel vortice di un finto progresso dove il senso di civiltà, quale quello che secoli di cultura ci hanno insegnato viene sistematicamente scardinato. Il rischio, infatti è quello che perfino il concetto di civiltà occidentale venga snaturato. I suoi valori essenziali, presenti nella cultura che ha espresso e che si compendiano nella profondità, nella costante ricerca del senso della vita, nell’arte, nell’esigenza di assoluto, di verità, nella ragionevolezza e nella logica che stabilisce una gerarchia d’importanza tra i fenomeni, tutto questo rischia di essere frantumato da un uso e da una concezione sbagliata delle tecnologie.
Al posto di tutto ciò, hanno preso il sopravvento la superficialità, l’effimero, l’effettistico, la spettacolarità, l’apparenza quale metro del valore. L’uomo non ricerca piú in profondità e non ha piú riferimenti nell’esperienza, ma solo in un turbinio di dati continuamente mutevole. La vita diventa una navigazione veloce che salta da una cosa all’altra, come un premere sulla tastiera di un telefonino o cliccare col mouse su una pagina di Internet.
E chi è piú avvertito non farà fatica a riconoscere che culture piú conservatrici della nostra, come quella islamica, hanno approfittato delle nuove tecnologie in modo puramente strumentale, senza permettere ad esse di scalfire minimamente il patrimonio dei loro valori e comportamenti. In tal modo hanno acquistato nei confronti dell’Occidente un vantaggio che, purtroppo, sfruttano in termini assai pesanti e del quale troppi in Italia, proprio perché massificati mediaticamente, non si rendono conto. 
Anche per questo, dunque, non c’è contraddizione tra il rivendicare, come ha fatto Benedetto XVI, le radici cristiane dell’Occidente e il chiedere che delle nuove tecnologie si faccia un uso piú confacente a quei valori che in tali radici si ritrovano.
 


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