L’ANNO SCORSO A MARIENBAD
Regia: Alain Resnais
Lettura del film di: Bove Roberto
Titolo del film: L’ANNO SCORSO A MARIENBAD
Titolo originale: L’ANNÉE DERNIÈRE A MARIENBAD
Cast: reg.: Alain Resnais – areg.: Jean Léon – realizz. Gen.: Michel Choquet – realizz. Gen. Aggiunto: Jean-Jacques Lecot – sogg., scenegg.: Alain Robbe-Grillet – fotogr. : (b e n., Dyaliscope), Sacha Vierney – operat. alla macchina: Philippe Brun – assist.: Guy Delattre, François Lauliac – capi macchinisti: Louis Balthazard, René Stocki – scenogr.: Jacques Saulnier – assist. alla scenogr.: Georges Glon, André Piltant, Jean-Jacques Fabre – accessori : Charles Mérangel – cost.: Bernard Evein – abiti di D. Seyrig Chanel – trucco: Alexandre, Eliane Marcus – mont.: Henri Colpi, Jasmine Chasney – mus.: Francis Seyrig, diretta da André Girard: all'organo Marie-Louise Girod – ediz. musicali: Impéria e Mondiamusic – ingegn. del suono: Guy Villette – suono: Jean-Claude Marchetti, René Renault, Jean Nény, Robert Cambourakis – segret. di ediz.: Sylvette Baudrot – fotografo: Georges Pierre – interpr.: Delphine Seyrig (A), Giorgio Albertazzi (X), Sacha Pitoeff (M), Françoise Bertin, Luce Garcia-Ville, Hélène Kornel, Françoise Spira, Karin Toeche-Mittler, Pierre Barbaud, Wilhem von Deek, Jean Lanier, Gérard Lorin, Davide Montemuri, Gilles Queant, Gabriel Werner – dir. di prod.: Lèon Sanz – prod. delegati: Pierre Coureau (Précitel), Raymond Froment (Terrafilm) – segr. di prod.: Janine Tahon – prod.: Terrafilm, Société nouvelle des Films Cormoran, Précitel, Como-Films, Argos-Films, les Films Tamara, Cinetel, Silver-Films, Cineriz (Roma) – laboratori Franay L.T.C. – orig:.: Francia-Italia, 1961 – distr.: Cineriz – durata: 93'.
Sceneggiatura: Alain Robbe-Grillet
Nazione: FRANCIA / ITALIA
Anno: 1961
Premi: Nel 1961, Resnais, alla XXII Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ottiene con L'ANNO SCORSO A MARIENBAD il Leone d'oro per il miglior film in concorso
da: Schedario Cinematografico, 30.10.1962, ROB (Roberto Bove)
È LA STORIA DI una donna, impegnata con un uomo in un freddo ambiente di incomunicabilità, la quale, tentata dalla corte incessante di uno sconosciuto, è contesa fra la fascinosa possibilità di una evasione della quale avverte l'intimo bisogno e l'incerta consistenza che tale evasione di fatto presenta; e – attraverso il tortuoso lambiccarsi del pensiero – per l'incapacità del suo uomo di comprenderla, si lascia persuadere a seguire lo sconosciuto, con un senso di liberazione come se ciò soddisfacesse a quel suo intimo bisogno.
La rappresentazione cinematografica si vale in questo film in maniera essenziale tanto dell'immagine sonora quanto dell'immagine visiva, le quali si compenetrano – e sul piano strutturale si giustificano – sulla base di ciò che la donna immagina di vedere o sentire. La struttura di questo film è quindi la stessa del procedere del pensiero (almeno così come questo procedere è inteso da Resnais) e, da un punto di vista cinematografico, come per LA DOLCE VITA di Fellini si era parlato di «struttura ad affresco», così per L'ANNO SCORSO A MARIENBAD si può dire che Resnais abbia realizzato una «struttura per concetti», intesa quale «sorgere autonomo di immagini nelle persone, dal cui dialogare esso è determinato». Infatti, mentre la parola procede secondo le regole della costruzione del dialogo che avviene fra i personaggi, l'immagine visiva procede secondo il formarsi di quelle immagini che – nel pensiero di chi sta dialogando – sono suscitate da quanto esse stanno dicendo, cosicché tra le cose dette e quelle viste mentalmente ci sia un «rapporto di contemporaneità» ma non sempre un «rapporto di corrispondenza» di significato. L'immagine cinematografica, quindi, nel suo complesso di sonoro e di visivo, in questo film diventa – se così si può dire – una astrazione della realtà materiale sonora e visiva della quale è rappresentazione, nel senso che la trasfigura e trasfigurandola la supera, assumendo un valore direttamente semantico del procedere spirituale. Si può dire perciò che l'immagine cinematografica giunge per sua forza propria ad esprimere pensiero. Non solo non esistono più vincoli di spazio e di tempo, ma può cessare anche ogni corrispondenza di significato fra quello che lo spettatore «vede» e quello che egli «ascolta», senza che perciò venga a mancare un nesso effettivo tra visivo e sonoro. L'immagine sonora può precedere o seguire l'immagine visiva, il tutto però chiaramente piegato in un racconto cinematografico che procede non secondo l'ordine cronologico dei fatti narrati, ma secondo la logica del procedere del pensiero (soprattutto della donna), a volte vivace ed improvviso, a volte lento e tortuoso. L'immagine cinematografica, così, (fatto inconsueto in cinema) è specchio pressoché diretto del meccanismo di formazione delle immagini visive nel pensiero, fatto di intuizioni improvvise (quasi un lampeggiare imprevisto), tentennamenti e ripetizioni esasperanti, anticipazioni fantastiche e luminose del desiderio (il «vedere» tutto chiaro), regressi paurosi e tortuosi (il «vedere» tutto nero), altrettanti moti spontanei tipici di chi – come la protagonista – viva una certa condizione spirituale (fatta di indecisione, paura, solitudine). Fatte queste considerazioni, (detto cioè che l'immagine visiva, pur essendo tale e – d'altra parte – proprio essendo tale, trascende i limiti di una data realtà concreta in senso narrativo), consegue una distinzione netta, fondamentale fra rappresentazione della cosa e cosa rappresentata; distinzione netta fra quello che lo spettatore materialmente vede sullo schermo e quello che ciò che vede significa di fatto. Nel caso di questo film – più che nella maggior parte degli altri – si tratta in maniera essenziale di «vedere» per arrivare a «leggere» e – sulla base di quanto si è letto – arrivare a «capire». Da questo fatto derivano conseguenze fondamentali non solo per quanto riguarda la «lettura» del film, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la sua interpretazione tematica e la sua valutazione morale. In conclusione, da un punto di vista strutturale e strettamente cinematografico, ci troviamo di fronte ad un film di apertura determinante circa le possibilità espressive del cinema: non solo infatti si supera il rifarsi ad una «storia» nel senso di successione difatti per sé compiuti, ma soprattutto si apre la strada all'espressione cinematografica di qualsiasi esperienza umana, ancorché di ordine strettamente spirituale.
Venendo ora all'interpretazione tematica del film, notiamo anzitutto che esso si apre con una lunga ambientazione fatta di concetti ripetuti i quali assumono un tono ossessivo su un piano sia di parlato sia di visivo. Siamo così introdotti, attraverso gli occhi di X (il corteggiatore, capitato qui non si sa donde), in un certo mondo: viene espressa soltanto l'impressione che egli ne riceve, ed è una impressione di monotonia e al tempo stesso di non accettazione di quell'ambiente. Questo mondo ci è presentato come freddo e scostante, anche se rilucente nella sua apparenza.
Nell'Hotel di Marienbad non succede niente che non sia prevedibile, per cui i personaggi che vi albergano sono anonimi nel loro manifestarsi e spettrali nella loro solitudine ed incomunicabilità. Questo, della impossibilità di comunicare, si presenta subito quale il tema caratteristico di quel mondo, da cui la sua prima impressione di rigidismo e di gioco senza imprevisti e senza fantasia. Tutto è preordinato e perciò sia le cose sia le persone restano al di fuori di una qualsiasi possibilità di partecipazione. Anche il gioco ha perduto la sua propria natura: esso è tale solo per colui che non ha ancora conosciuto le regole per vincere, rigide come un teorema di matematica; anche nel gioco, dunque, non esiste più possibilità di partecipazione una volta esaurita la novità del conoscerlo. E il presentarsi di qualcuno che non lo conosce ne costituisce l'unico fragile elemento di gusto nuovo.
X non conosce i personaggi che abitano questo ambiente: li guarda muoversi come altrettanti manichini meccanici, li ascolta pronunciare frasi banali, cerca di entrare nel loro mondo ma ne raccoglie freddezza o riso oppure perde sistematicamente ai loro giochi perché non conosce le regole matematiche del vincere. Crede ancora che siano giochi, magari d'azzardo.
I lunghi corridoi dove non si ode il passo coperto dai velluti, il rumore stridente della ghiaia in giardino quasi misuratore di un tempo che scorre ma del quale chi muove i passi non si accorge, la fissità di un paesaggio cupo nella sua geometria senza misteri di giardino alla francese nel quale «sembrava, a prima vista, impossibile perdersi, a prima vista», caratterizzano ancor più questo ambiente, limitando nello spazio e nel tempo i suoi abitatori.
Entro questa cornice e sotto una vernice brillante c'è però l'ansietà e l'eterna attesa di qualche cosa che non potrà mai succedere, almeno per la maggior parte di quelle persone. Quando questo qualche cosa di cui esse non sanno si presenta come possibile a qualcuno, interviene il desiderio e d'altra parte interviene la paura di uscire da questo mondo abituale per andare incontro ad un altro mondo che ha regole ancora sconosciute. Per questo A, la donna, desidera l'evasione che le si presenta. E vi tende (non importa a quale genere di evasione) attraverso un travaglio penoso di paura e di indecisione, benché le si presenti in modo affatto chiaro e rassicurante. D'altra parte M, l'altro uomo, pur avendo intuito quello che sta accadendo alla sua compagna, non sa rinunciare alla sicurezza che gli è data dal gioco di cui egli solo conosce le regole. Di qui quel suo comportarsi apparentemente dignitoso, improntato alla gentilezza delle parole (episodio del bicchiere rotto) o alla ostentazione di conoscenza nei confronti del rivale (episodio davanti al quadro) o a vittimismo (episodio decisivo alla fine quando – pur rivelando di aver capito come stanno le cose – non fa a meno di recarsi al tiro a segno). Forse egli considera un gioco anche il problema della sua compagna e – presumendo di conoscerne le regole – crede di poter vincere comunque, finendo così in una incomprensione che è decisiva nell'animo della donna. Si comprende che M sta perdendo la partita quando A, in camera, dispone le fotografie, fattele da X, nello stesso modo del gioco dei fiammiferi: è chiaro intatti a questo punto che le regole dei due giochi sono differenti, e perde chi crede di poter applicare le stesse regole. Quando M finalmente tenta di uscire da questo suo atteggiamento e parla alla donna, ormai è tardi: X ha il sopravvento definitivo nelle aspettative della donna e le parole che M dice a questa (nell'ultima scena della camera) si mescolano – trasformandosi nella immaginazione di lei – con le parole dette con la voce di X. La mezzanotte scade senza che possa più decidere niente. E' il silenzio di entrambi. M – giunto troppo tardi all'appuntamento – è solo: per la donna è come se non esistesse più.
Possiamo ora riassumere, in modo per così dire cronologico, l'iter della vicenda psicologica narrata dal film.
All'inizio, presentando l'ambiente, ne viene espressa la pesante e ossessiva realtà. In questo clima c'è una donna alla quale si presenta la possibilità di evasione attraverso l'apparire di X che la corteggia. A, la donna, è colpita (episodio del tiro a segno), da questa possibilità di evasione che X le offre. La situazione di incertezza tra l'accettare una evasione e l'incognita dell'evasione stessa è chiarita dal colloquio a due di fronte ad un gruppo marmoreo in giardino: per X, la statua maschile trattiene la compagna da un precipizio; per A, la statua femminile indica un obbiettivo meraviglioso da raggiungere. Il cane, per A, si stringe alla padrona (e cioè il suo uomo, nell'atteggiamento che essa desidererebbe assumesse in quella circostanza), per X, invece, è li per caso, e si stringe alla padrona solo perché la base su cui poggia è troppo stretta. In tale occasione, X anticipa ad A quale sarà la conclusione della vicenda: nello stesso giardino c'è infatti un altro gruppo statuario in cui l'uomo e la donna sono ancora insieme ma il cane non è più con loro. Da questo momento in poi, A è sempre più persuasa della corte incessante di X. La presenza silenziosa di M interrompe di tanto in tanto bruscamente questo lento processo di persuasione nell'animo della donna (episodio del bicchiere rotto al bar e della balaustra che crolla in giardino) e i conseguenti deboli tentativi di sottrarvisi da parte della donna si risolvono in una fuga senza meta nei corridoi dell'hotel o nei viali del parco in fondo ai quali ritrova sempre qualcuno dei motivi della persuasione (il gruppo marmoreo, la stanza, la balaustra in giardino). Né la presenza passiva di M né la propria debole interiorità forniscono alla donna validi motivi per opporsi all'incalzare di X. D'altra parte la presenza di X nei confronti di A è continuamente attiva e intelligentemente condizionata allo stato d'animo di quest'ultima: X sa infatti mostrarsi paziente di fronte agli urli (episodio del bicchiere rotto al bar), supplichevole di fronte al sussistere dei dubbi (episodio d'amore vicino alle fontane o sulle panchine del giardino), implacabile ogniqualvolta la resistenza si fa meno forte (nella stanza quando verso la fine la donna vorrebbe uscire ed è già davanti alla porta ma non trova più la forza per oltrepassarla trattenuta come è dalla costante ed imperiosa volontà di X che le parla). Inevitabilmente quindi, dopo ogni interruzione o dopo ogni fuga, nella immaginazione di A prendono sempre maggiore consistenza le parole di X, tanto da credere alla fine che ciò che X va raccontando sia veramente accaduto (episodio della donna vestita di piume bianche nella stanza e delle scene d'amore in giardino vicino alle fontane).
Questo, in sintesi, lo sviluppo della psicologia della protagonista che alla fine mostra di credere pienamente alla finzione alimentata dalla corte incalzante di X e dalla presenza passiva di M: non a caso pensiamo che Resnais abbia fatto iniziare e concludere questo processo interiore durante una rappresentazione teatrale in cui gli attori parlano con le stesse parole dei personaggi cinematografici ripetendone la situazione. Infatti, sia la rappresentazione teatrale per sé, sia la vicenda psicologica della protagonista presentano – su una piano di analogia— la caratteristica di finzione di realtà.
In conclusione, Resnais ci presenta un certo mondo la cui caratteristica principale è quella dell'incomunicabilità dettata dalla incomprensione delle persone che vi albergano, ed in un tale contesto accade che una storia inverosimile come quella che X racconta ad A possa riuscire a persuaderla ad evadere (sembra darle infatti la possibilità di comunicare) con un senso di sollievo dopo un travaglio penoso. Gli elementi che fanno pensare a questo senso di liberazione nell'animo della protagonista sono soprattutto: la chiarezza dell'immagine quando si comincia ad accennare alla conclusione (scene di amore in giardino vicino alla fontana), anticipandola in un contesto cinematografico che si mantiene contrastato e deludente nella sua precisione di luci ed ombre; il motivo musicale gioioso che sottolinea l'apparire del gruppo marmoreo in giardino dopo la fuga di A nei corridoi dell'albergo; inoltre, dopo che i rintocchi di mezzanotte sono scoccati, la protagonista – per la prima ed unica volta nel film – accenna ad un sorriso di dolcezza.
Il lato più desolante del mondo da cui la donna evade è soprattutto che esso ci appare tanto sprovveduto di criteri e di consistenza da poter considerare liberazione qualsiasi cosa venga proposta, la quale non rientri nelle previsioni, tanto più che la paura ed i dubbi della protagonista sembrano derivare non tanto da quello che la nuova vita le potrà offrire quanto piuttosto dal fatto di dovere abbandonare la sicurezza di quel mondo dove fino ad allora e dopo di allora non succederà niente che non sia già accaduto.
Se volessimo quindi enunciare in una frase il tema di questo film potremmo dire: «l'incomprensione e l'incomunicabilità riducono la persona umana ad uno stato psicologico tale da lasciare la strada aperta ad un'evasione che a qualsiasi costo, senza essere in grado di valutarne la portata ed anzi ottenendone un'impressione di liberazione, ristabilisca una possibilità di comunicazione». (ROB)
GIUDIZIO UFFICIALE CATTOLICO (C.C.C.): «Collocati in una dimensione astratta, avvolti da un simbolismo non sempre chiaro, che lascia senza risposta non poche, implicite domande, i personaggi sfuggono ad un'esatta valutazione. Che cosa simboleggia il mondo descritto dal regista? Che significato hanno quei suoi raggelati personaggi, statuari e senza vita? Di quale natura è la salvezza cui aspira l'uomo con la desiderata fuga a due? Quel che pare certo è l'assenza di una precisa dimensione morale. Per le difficoltà connesse alla comprensione dell'opera, occorre comunque riservarne la visione agli adulti di piena maturità morale.»