PROVIDENCE
Regia: Alain Resnais
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 50 - 1977
Titolo del film: PROVIDENCE
Titolo originale: PROVIDENCE
Cast: regia: Alain Resnais – sogg., scenegg.: David Mercer – fotogr.: Ricardo Aronovich – mus.: Miklos Rozsa – mont.: Albert Jurgenson – scenogr.: Jacques Saulnier – cost.: Catherine Leterrier – interpr. princ.: Dirk Bogarde, Ellen Burstyn, John Gielgud, David Warner, Elaine Stritch – colore – durata: 110’ – lungh.: m. 2880 – VM 14 – produz.: Action Films, Société Française De Production (Sfp), Fr3 Paris, Citel Films Genève – origine: FRANCIA / GRAN BRETAGNA, 1976 – distrib.: Ital Noleggio Cinematografico (1977)
Sceneggiatura: David Mercer
Nazione: FRANCIA / GRAN BRETAGNA
Anno: 1976
«La realtà non è mai puramente interiore o puramente esteriore, ma un amalgama di due ordini di sensazione e di percezione. Nella vita, senza tregua, attraverso i nostri desideri, le nostre paure, noi proiettiamo immagini nella testa degli altri. Esse diventano allora sempre più reali, e non si sa più quel che è ‘interiore’ e quel che è ‘esteriore’». Questa dichiarazione di Alain Resnais definisce una delle costanti principali del suo modo di concepire e fare cinema, anche in questo film, che buona parte della critica francese non ha esitato a definire un autentico capolavoro. (Intervista con Alain Resnais e Alain Robbe-Grillet, raccolta da Claude Ollier in «Cineforum», n. 7-9, 1961, pag. 408).
La vicenda. Si svolge nell'arco di un giorno ed ha per protagonista Clive Langham, un anziano e famoso romanziere che, alla vigilia del suo settantottesimo compleanno, si è ritirato in un'enorme villa «rovinosamente dispendiosa», situata al di là della Manica, il cui nome è Providence. La notte precedente il suo genetliaco viene trascorsa da Langham tra un bicchiere di profumato vino bianco ed uno di whisky, tra lancinanti dolori che lo tormentano, tra incubi, sogni, fantasie, rimorsi, il tutto frammisto al materiale narrativo di un nuovo romanzo che lo scrittore sta concependo, e che vede come protagonisti alcuni membri della sua famiglia.
Veniamo così a sapere che l'anziano romanziere si è sempre dedicato con uguale passione ai propri racconti, al vino bianco (di cui è un raffinato stimatore) ed alle donne (degli altri). Sua moglie, Mollie, affetta da un male incurabile, si è suicidata tagliandosi le vene nella vasca da bagno. Tale ricordo ritorna martellante ad occupare ampi spazi del suo pensiero, accompagnato dal rimorso di averla trascurata, contribuendo così a spingerla verso quell'atroce gesto. Langham è altresì assillato dalla paura della morte e «di tutto il dolore che viene prima», anche se si consola pensando che per fortuna «c'è sempre la morfina». Il romanzo in gestazione vede come protagonista il figlio Claude, avvocato di professione che, inizialmente, cerca di far condannare dal tribunale Kevin Woodford, un astronauta che in circostanze misteriose ha ucciso per eutanasia un vecchio che si stava trasformando in lupo mannaro. Kevin viene però assolto e si trasforma ben presto nell'amante di Sonia, la deliziosa moglie di Claude.
Da qui, tutta una serie di eventi che vedono coinvolti anche un'amante di Claude, Helen, «una giornalista intellettuale che va a tutte le conferenze», ed un fratello di Kevin, calciatore famoso che compare nella mente del romanziere, e quindi nella vicenda del romanzo, nei momenti meno opportuni. Alla fine Claude insegue con la pistola in pugno Kevin che - lui pure - si sta trasformando in lupo mannaro, e lo uccide. Un'ultima annotazione: sempre nel romanzo, Claude nutre una profonda avversione nei confronti del padre (che ritiene responsabile del suicidio della madre) e pare non desideri altro che la finisca di lamentarsi e che, una buona volta, si tolga dai piedi per sempre.
L'indomani mattina Langham, ripulito e vestito di tutto punto da un servitore che lo aveva trovato ubriaco fradicio, si trova nello splendido parco della villa in attesa della visita dei familiari. Arrivano Claude e Sonia, ed anche Kevin, che scopriamo però essere non l'astronauta-amante, ma il «bastardo prediletto» di Langham, l'unico che ha riconosciuto. Si viene inoltre a sapere che Claude e Sonia sono una coppia pressoché perfetta, che Claude non nutre alcun rancore nei confronti del padre e che Claude e Kevin vanno perfettamente d'accordo. Tutti e tre portano dei regali al vecchio Langham per il suo compleanno e, dopo aver trascorso alcune ore di lieta compagnia, si mettono tutti a pranzare all'aria aperta, compresi i servitori. Al termine del pranzo, durante il quale, nonostante alcune divergenze di opinione, si manifesta una profonda e sostanziale armonia tra i quattro, l'anziano romanziere si accomiata da loro, pregandoli di andarsene, così, senza abbracci, con la sua benedizione. Se ne vanno, uno alla volta, voltandosi a guardarlo con commozione. Il vecchio Langham, dopo aver bevuto un altro sorso, rientra nella villa a riprendere il lavoro interrotto.
Il racconto divide nettamente la vicenda in due grossi blocchi narrativi che si contrappongono: la prima parte, che si svolge tutta all'interno della villa-castello, che definirei «la realtà interiore»; la seconda parte, che si svolge tutta all'esterno, nel parco, che chiamerei «la realtà esteriore». Tale contrapposizione emerge chiaramente, oltre che dalle due... «unità di luogo» prescelte e che risultano quanto mai efficaci in funzione espressiva -, anche da fattori semiologici inequivocabili. La prima parte è tutta giocata con colori lividi, tetrici, quasi paurosi; vi dominano le ombre e i toni scuri; gli oggetti e le persone sono sovente ripresi in controluce; la musica ed i rumori tendono a creare un'atmosfera-arcana ed enigmatica. La seconda parte, al contrario, è rappresentata all'insegna della luminosità e del fulgore. Vi dominano l'azzurro di un cielo trasparente e il verde di una natura incontaminata, mentre il bianco della tovaglia è un'esplosione di luce; i rumori emergenti sono rappresentati dal canto di una miriade di uccelli; la presenza dei fiori e di un animaletto (col quale Claude e Kevin si trastullano) testimonia il rigoglio di vita nel quale i personaggi si trovano immersi. La prima parte, a sua volta, è costituita da un'introduzione e da tre filoni narrativi che, separati all'inizio, vanno sempre più compenetrandosi sino a fondersi nell'unità di quella che ho definito «la realtà interiore». L'introduzione consiste in una serie di carrellate in avanti che, a partire dal cartello con su scritto il nome della villa, ci introducono, attraverso alcune immagini angolate dal basso del parco antistante (il ricordo di Marienbad si fa prepotente), prima all'ingresso, e poi all'interno della villa stessa, teatro di tutto quello che sta per avvenire. I tre filoni si potrebbero denominare: reale, creativo, ossessivo. È reale quello che, a partire dalla prima brevissima inquadratura in cui vediamo una mano (non sappiamo ancora di chi è) rovesciare un bicchiere e sentiamo l'imprecazione «Maledizione!» ripetuta tre volte, descrive le azioni «esterne» compiute dal vecchio Langham durante quella lunga notte. Beve in continuazione, si lamenta per i dolori lancinanti che lo affliggono, calpesta i propri occhiali, commenta ad alta voce i sogni ed i pensieri che gli passano per la testa ecc.
È creativo quello che rappresenta la visualizzazione del materiale narrativo che costituisce il romanzo in gestazione: la vicenda, cioè, già descritta, relativa al rapporto Claude-Sonia-Kevin, con relative implicazioni.
È ossessivo quello che descrive i sogni, gli incubi, le paure ed i rimorsi che assillano il nostro protagonista: la paura della morte (sezionamento del cadavere), del dolore e del disfacimento fisico (il vecchio-lupo mannaro e la presenza dei soldati), il rimorso relativo al suicidio della moglie (il continuo riferimento a Mollie) e i giochi della fantasia (Kevin ed il calciatore che si intrufolano inopportunamente nella vicenda del romanzo). Questi tre filoni - come già detto - partono separatamente, facendo inizialmente pensare a: tre vicende separate o quanto meno a tre piani del racconto; successivamente però si compenetrano fino a coagularsi in un tutt'uno. L'azione unificante è data soprattutto dalla voce fuori campo appartenente al vecchio Langham (ma noi ancora non lo sappiamo) che, in modo squisitamente cinematografico si inserisce nel dirigere le fila e nel commentare le azioni rappresentate. Significativo al proposito l’episodio di Sonia e Kevin in casa, in cui la voce di Langham si sostituisce a quella di Sonia, per cui si vede Sonia parlare e si sentono le parole dette da Langham. L'unificazione avviene anche in forza del primo filone (quello «reale») che, narrativamente, dà unità agli altri due (facendo capire che entrambi sono frutto della fantasia di un autore) e poi a tutti e tre, descrivendo in concreto chi è questo autore. Infine l'unificazione avviene per il fatto che, in varie occasioni, i personaggi parlano e si comportano, non in base al ruolo narrativo che svolgono, ma esprimendo l'interiorità dell'autore (Langham). Si veda per esempio: Kevin sulla panchina parla a Sonia di Mollie (che non poteva conoscere) e poi afferma di non ricordarsi cosa aveva detto; l'erezione di Langham si trasferisce a Kevin che avverte… che non è sua; al poligono di tiro Kevin parla a Claude come questi fosse Langham ed egli Claude; Helen parla a Kevin come Mollie parlerebbe a Claude, ecc. I tre filoni si confondono, esprimendo un'unica realtà: la realtà di uno scrittore che sta concependo una nuova creatura. Questa realtà è essenzialmente una «realtà interiore», in quanto anche la sua parte esteriore (primo filone) sembra essere in funzione della comprensione del lavorio interiore di Langham. Anzi, penso si possa affermare che tutto il retroterra esistenziale ed umano di Langham, così come la sua condizione attuale (vivere isolato, soffrire, ubriacarsi, pensare) diventano condizione essenziale della sua creazione artistica.
Nella seconda parte prevale la «realtà esteriore». Gli incubi, appena accennati all'inizio (autopsia, Mollie nella vasca), si dissolvono a contatto del bellissimo mondo esterno ma, assieme a loro, sembra dissolversi anche la pena ispiratrice. I personaggi del romanzo diventano reali e la realtà si annuncia più bella e rasserenante rispetto alla fantasia. Non più rancori, né tradimenti, né dissapori. Claude e Sonia si amano e sono felici assieme; Kevin vive a Ginevra e si dedica con, passione all'astrofisica; Claude ama il padre e lo rassicura circa il suicidio di Mollie. Qualche incomprensione viene rapidamente fugata; qualche imbarazzo facilmente superato da un affetto sincero. Una panoramica circolare (a 360°) sembra incorniciare questa famigliola in un ambiente amico e rassicurante. Una tenera commozione sembra prevalere nel finale e gli sguardi affettuosi con cui i tre si accomiatano dal vecchio scrittore ne sono una efficace testimonianza. Ma alla fine, dopo aver bevuto un ultimo sorso, Langham si alza da tavola e rientra lentamente nel castello. Ha scelto «la realtà interiore», più penosa ed inquietante, ma nel contempo più feconda e creativa, a conferma della frase di Claude: «Dopo certi sogni non c'è più nulla nella vita reale che abbia tale intensità».
L'idea centrale. La creatività artistica è frutto di una «realtà interiore» fatta di isolamento, di travaglio e di sofferenza, che contrastano con la serenità e la bellezza della «realtà esteriore», ma che sono l'unica condizione di fecondità.
Cinematograficamente il film, che è stato segnalato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, riconferma il grande mestiere e l'abilità di Resnais nell'esprimersi con il linguaggio dell'immagine. Mestiere e bravura che si concretizzano in uno stile personalissimo ed affascinante (anche se ormai numerosi autori hanno cercato di imitarlo), che trova il suo punto di forza nella descrizione del procedere del pensiero umano in una dialettica passato-presente e interiorità- realtà che costituisce una delle costanti dell'estetica filmica di Resnais. Eccellente la prova interpretativa di tutti gli attori; cinematografico l'uso del sonoro; magistrale l'impiego della luce e del colore in funzione espressiva.
Tematicamente non è tutto perfetto. Oltre che di un certo intellettualismo - pur sempre all'insegna dell'intelligenza, ma che sembra talvolta prendere la mano al regista - il film risente di una ridondanza di elementi narrativi che non si lasciano ridurre al piano tematico. Il discorso circa la necessità di un codice morale assoluto, la definizione della borghesia, l'accenno alla rivoluzione ed ai rivoluzionari ecc. sono tutti elementi che restano solo enunciati, senza trovare uno sviluppo ed uno sbocco a livello tematico.
Moralmente il film è valido per la serietà del discorso affrontato e per l'impegno che viene propugnato, ma risente di un'impostazione un po' troppo disancorata - quando addirittura non aliena - da considerazioni di natura religiosa. Ne deriva un certo immanentismo e - a tratti - anche un pessimismo che nuocciono al valore morale del film. Forse l'approfondimento circa la necessità di un codice morale che rimanga valido anche di fronte «all'incomprensibile» della creazione artistica, avrebbe conferito alla creatività stessa dimensioni e valori che nel film restano relegati al piano della pura immanenza. (Olinto Brugnoli)