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GHESSEHA (TALES) STORIE



Regia: Rakhshan Banietemad
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: GHESSEHA (TALES) STORIE
Titolo originale: GHESSEHA (TALES) STORIE
Cast: regia, produtt.: Rakhshan Banietemad – scenegg.: R. Banietemad, Farid Mostafavi – scenogr.: Amir Esbati – fotogr.: Koohyar Kalari – mont.: Sepideh Abdolvaheb – mus.: Siamak Kalantari – trucco: Mehrdad Mirkiani – fonico: Yadollah Najafi – mix: Amirhossein Ghassemi – interpr.:Golab Adine, Saber Abar, Farhad Aslani, Foojan Arefpoor, Bahare Daneshgar, Mohammadreza Forootan, Shahrokh Forootanian, Babak Hamidian, Mehdi Hashemi, Negar Javaherian, Baran Kosari, Fatemeh Motamedaria, Peiman Moadi, Hassan Majooni, Habib Rezaei, Atefeh Razavi, Rima Raminfar, Mehraveh Shaifinia, Khosro Shahraz – colore – durata: 88’ – produz.: Kanoon Ira Novini – origine: IRAN, 2014 – distrib. intern.: Noori Pictures
Sceneggiatura: R. Banietemad, Farid Mostafavi
Nazione: IRAN
Anno: 2014
Presentato: 71. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2014) CONCORSO
Premi: PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA

La regista Rakhshan Banietemad è nata a Teheran nel 1954. Dopo aver studiato all'Università di Arti drammatiche ha realizzato diversi documentari per la tv prima di passare ai film a soggetto. A proposito di questa sua ultima opera ha dichiarato: «Ghesseha torna sui personaggi dei miei film precedenti nelle circostanze attuali. Pur trattandosi di una versione completamente indipendente, per me e per le persone che hanno visto i miei film precedenti Ghesseha riesamina la sorte e le condizioni sociali di queste persone negli ultimi trent'anni».

 

Il film non possiede una vicenda vera e propria, ma racconta, conformemente al titolo (Ghesseha può essere tradotto con “Storie” o “Racconti”) alcuni episodi che si riferiscono a diversi personaggi appartenenti a diversi strati della società iraniana.

La struttura può essere definita a mosaico, in quanto tutte queste storie, che si susseguono per il semplice fatto che un personaggio che appariva nell'episodio precedente diventa protagonista di quello seguente, danno vita, alla fine, ad un ritratto della realtà iraniana secondo la visione della regista. Un po' come succedeva nel film Il Cerchio di Jahfar Panahi. Senza descrivere nel dettaglio i vari episodi, si può dire che di questa realtà vengono messe in luce alcune “zone” particolarmente significative.

- C'è innanzitutto un grosso peso strutturale che va rimarcato. Il film inizia e finisce con il riferimento ad un regista, rientrato in Iran da poco, che con la sua telecamera cerca di “vedere” e di documentare la realtà del suo Paese. Il regista all'inizio è su di un taxi e riprende la città in movimento, mentre ascolta le confidenze del tassista. Lo si vedrà in seguito al Ministero nel vano tentativo di ottenere il permesso per consultare gli utenti e sentire che cosa ne pensano della pubblica Amministrazione. Poi lo si vedrà presso un centro di disintossicazione femminile, ed infine su un pulmino di lavoratori che si recano a reclamare dalle autorità i loro diritti calpestati. Ma proprio in questa occasione gli verrà sequestrata la telecamera dalla polizia. Poi, nel finale, si sente dire che la telecamera gli è stata restituita e che il film che stava girando, pur con qualche difficoltà, verrà visto da qualcuno. È chiara la significazione: fare un film sulla realtà iraniana è estremamente difficile a causa della censura e del divieto posto dalle autorità; tuttavia qualcosa si può fare ed è utile farlo perché la gente sappia.

- Altro elemento che viene messo in rilievo è quello che si riferisce alla situazione economica. È una situazione di crisi, in cui la gente fa fatica a sopravvivere a causa dell'enorme aumento dei prezzi e che porta taluni a dedicarsi ad attività illecite, come aveva fatto il tassista dell'inizio che per sbarcare il lunario si era messo a trafficare con la droga.

- Grosso peso viene poi dato alla condizione femminile. Emergono varie figure di donna con tutto un carico di dolore che le accompagna, con i pregiudizi di cui sono vittime e con la violenza cui spesso sono sottoposte. Alcune sono state abbandonate dai mariti, come Maasum che vediamo all'inizio salire sul taxi con un bambino in braccio: in lei il tassista riconosce la compagna inseparabile di sua sorella che ora è costretta a prostituirsi per sopravvivere. O come quella ragazza il cui padre, dedito ai suoi vizi, non vuole accettare in casa e che complotta con il fratello un finto rapimento a scopo di estorsione nei confronti del genitore, non tanto per amore ma per salvare le apparenze di fronte alla gente. Altre sono madri in costante apprensione, come la madre del tassista che non ha più notizie del figlio Alì e che esclama: «Le madri cercano i figli vivi o morti»; o come la signora Touba che va alla disperata ricerca di un po' di denaro per pagare la cauzione per il figlio rimasto disoccupato e in seguito arrestato per proteste. Donne che hanno subito violenza, come Nargess, che il marito in preda alla droga ha ustionato con l'acqua bollente e che ora vuole che ritorni a casa come se niente fosse accaduto. O come Nobar, oggetto della feroce gelosia da parte del marito solo perché ha ricevuto una lettera dal suo ex marito; gelosia ingiustificata, perché l'uomo, che sta per morire, vuole regalare una casa alla sua ex moglie.

Infine la politica, la polizia, la pubblica Amministrazione. Come nel caso di quel burocrate che non sta minimamente ad ascoltare le ragioni di un signore che rivendica i diritti maturati in trent'anni di lavoro ed esce dall'ufficio per andare dall'amante, facendo intervenire una guardia per liberarsi di quel rompiscatole. O come quell'impiegata che non dà retta alla signora Touba, dicendo che provvederà Dio a risolvere i suoi problemi (al che la signora ribatte: «Forse Dio vi ha messo qui perché li risolviate voi»). Particolare peso viene poi dato a quel viaggio in pulmino, ripreso dalla telecamera del regista, di un gruppo di operai (tra cui la signora Touba) che sono decisi a far valere le loro ragioni di fronte alle autorità: ma il pulmino viene fermato dalla polizia e un operaio che protestava energicamente viene portato via.

Come si può vedere, il ritratto della realtà iraniana è decisamente negativo nel suo complesso. Ma la regista non vuole essere impietosa. Infatti l'ultimo episodio rappresenta un motivo di speranza. Sara è una donna che lavora nel centro di disintossicazione femminile. Qui ha salvato una ragazza che si era tagliata le vene. Anche lei, a suo tempo, aveva fatto la stessa cosa e sua madre l'aveva salvata: ora Sara vuole aiutare le altre che non hanno la stessa fortuna. Durante il viaggio per ricoverare la ragazza, Sara ha una lunga discussione con Hamed, il conducente del pulmino, che critica il suo comportamento. Ma alla fine tra i due giovani sembra affiorare la comprensione e sembra nascere una nuova storia d'amore. (Olinto Brugnoli)

 


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