ONE ON ONE (Chi sono io?)
Regia: Kim Ki-duk
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: ONE ON ONE (CHI SONO IO?)
Titolo originale: ONE ON ONE (CHI SONO IO?)
Cast: regia, scenegg., fotogr., mont.: Kim Ki-duk mus.: Park Young-min suono: Do Won scenogr.: Hon Zi cost.: Lee Jin-sook interpr. princ.: Don Lee (Shadow Leader), Kim Young-min (Oh Hyun and 7 Others), Lee Yi-kyung (Shadow 1), Cho Dong-in (Shadow 2), Yoo Teo (Shadow 3), Ahn Ji-hye (Shadow 4), Jo Jae-ryong (Shadow 5), Kim Joong-ki (Shadow 6) colore durata: 122 produz.: Kim ki-duk Film origine: COREA DEL SUD, 2014 distrib.: Fil Rouge Media
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Nazione: COREA DEL SUD
Anno: 2014
Presentato: 71. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2014) GIORNATE DEGLI AUTORI
Il film inizia documentando l'omicidio di una giovane studentessa. Gli assassini (tutti membri di un'organizzazione legata a un gruppo di potere) sono pedinati e fermati da alcuni sedicenti agenti governativi dei servizi segreti, che indossano divise militari, ma che in realtà sono uomini facenti parte di un gruppo in cerca di vendetta. Uno alla volta, i killer sono presentati al “capo”, il quale li costringe con la tortura a confessare per scritto il loro omicidio di quel famigerato “9 maggio dell’anno precedente”. Il regista approfitta dell’occasione per illustrare nei particolari il genere di supplizio applicato ai responsabili: tentativo di soffocamento con la testa immersa in acqua, scosse elettriche ad alta tensione, stiramento delle braccia nel sollevamento del corpo con catene, distruzione della mano sinistra con potenti martellate mentre la destra deve scrivere, ecc... Lo spettacolo della violenza pecca di una certa dose di autocompiacimento spettacolare da parte del regista che però mostra tutto con evidente giudizio di condanna. Alcuni dei torturatori, però, si oppongono al loro “capo”, accusandolo di delitti contro l’umanità e rifiutandosi di eseguirne i feroci ordini («tu sei un diavolo»!). Alla medesima domanda rivolta ai torturati da parte del capo per conoscere i motivi degli omicidi eseguiti, essi rispondono sempre allo stesso modo: «ho obbedito ai comandi; il responsabile non sono io, ma chi mi ha comandato di comportarmi in quel modo». Il film procede tra un’efferatezza e l’altra, ma i rimproveri e le diserzioni di alcuni membri del gruppo, tra i quali si distingue soprattutto una giovane donna, lentamente producono una crisi di coscienza nel loro capo, che a un certo punto rimane con due soli aguzzini al suo ordine. Uno degli assassini rapiti dal “capo” (era stato il primo torturato, lasciato eccezionalmente libero dopo la confessione), diventa testimone indiretto della discussione scoppiata tra i due ultimi “fedeli” del gruppo che proprio ora sta torturando il boss che aveva ordinato l'uccisione della studentessa. Dopo aver ascoltato la loro difesa («lo facciamo per sopravvivere nella generale violenza che domina la città»), il “testimone” li ammazza entrambi e, inaspettatamente, anche il boss che aveva ordinato l'omicidio iniziale.
Poi va e uccide il capo dei torturatori. È forse un modo di dire che sia chi malvagiamente ha ordinato l'uccisione della studentessa, sia colui che crudelmente ha cercato la vendetta, meritano di essere eliminati per tutto il dolore che hanno provocato e la violenza cui hanno dato vita (anche se poi la loro eliminazione è, a sua volta, un atto di violenza).
Il film è un grido di indignazione e di denuncia angosciata della violenza cittadina di fronte alla quale i deboli (tutti nel film) si adeguano a partecipare per sopravvivere senza mai ribellarsi completamente, come esigerebbe invece la coscienza personale.
Le tre parti del film sviluppano la medesima tematica: prima parte delitto su commissione e relativa provocazione; seconda delitti di vendetta; terza «chi di spada ferisce di spada perisce».
Il film potrebbe essere considerato come un medicinale positivo per guarire dalla violenza; certo però che il suo gusto e forse anche la sua assimilazione non sono che per persone mature. (Adelio Cola)