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NOBI (Fuochi nella pianura)



Regia: Shinya Tsukamoto
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: NOBI (FUOCHI NELLA PIANURA)
Titolo originale: NOBI (FUOCHI NELLA PIANURA)
Cast: Regia, scenegg., mont.: Shinya Tsukamoto – dal romanzo “Nobi” di Shohei Ooka – fotogr.: Shinya Tsukamoto, Satoshi Hayashi – mus.: Chu Ishikawa – cost.: Hitomi Okabe – modelli effetti speciali: Masako – culture effetti speciali: Chiharu Rikuta, Natsuko Kado – modelli armi: Tatsuya Mine, Yoshiyuki Siroiwa, Aya Yumiba – effetti speciali: Satoru Narumi, Taku Nakano – interpr. princ.: Shinya Tsukamoto (Tamura), Lily Franky (Yasuda), Tatsuya Nakamura (Corporal), Yusaku Mori (Nagamatsu), Yuko Nakamura (Moglie diTamura) – colore – durata: 87’ – produz: Kaijyu Theater – origine: GIAPPONE, 2014 – distrib. int.: Coproduction Office
Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto
Nazione: GIAPPONE
Anno: 2014
Presentato: 71. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2014) CONCORSO

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il soldato semplice Tamura, appartenente alle forze giapponesi che hanno invaso le Filippine, si ammala di tubercolosi e viene così abbandonato dal suo plotone e costretto a recarsi nell’ospedale da campo. Anche nell’ospedale, Tamura viene però rifiutato e si ritrova quindi, ammalato e sperduto, a dover provvedere a se stesso. Si unisce allora a un gruppo di soldati feriti che bivaccano fuori dall’ospedale, in attesa di morire, ma essi vengono trucidati quella stessa notte dal fuoco nemico. Scampato illeso all’attacco, Tamura vaga in solitaria attraverso la giungla, sopravvivendo come può. Nel suo percorso uccide fortuitamente una donna filippina che grida di paura al suo cospetto, avendolo sorpreso, armato, in una chiesa. Scioccato per aver ucciso una donna innocente, il soldato si libera di lì a poco del fucile (che getta via in un ruscello) e riprende il suo vagabondaggio attraverso la giungla, unendosi via via alla compagnia di militari sbandati che, come lui, cercano un modo di sopravvivere, mentre i corpi maciullati dei loro commiltoni si ammucchiano uno sull’altro tutt’intorno e “fuochi” misteriosi cominciano ad apparire per la giungla, levando alte colonne di fumo verso il cielo. Tamura nel frattempo si imbatte in un gruppetto di soldati che gli annuncia la morte di tutto il suo reggimento di appartenenza e che lo invita a unirsi a loro, in un estremo tentativo di fuga. Tamura li segue per un po’, sempre più ammalato e stanco per le fatiche della guerra, ma il gruppo viene infine sterminato dalle forze nemiche. Tamura, rimane ancora una volta illeso, venendo salvato da una coppia di folli soldati - già da lui incontrati in precedenza a più riprese - che sopravvive uccidendo persone e praticando il cannibalismo. Dopo aver scoperto l’atroce verità, Tamura uccide uno dei due folli (l’altro viene ucciso dal suo stesso compagno) e si rassegna alla morte, ma la guerra finisce di lì a poco e Tamura sopravvive e riesce a fare ritorno a casa, dove vive un’esistenza tranquilla, ma sconvolta e per sempre “segnata” dall’avventura vissuta.

 

La descrizione degli “orrori” della guerra è il tema che il regista Tsukamoto porta avanti nel corso del film. Tamura, soldato “tranquillo” e uomo di buoni valori (che si rendono evidenti, nel racconto, per es. quando egli cede volentieri le sue “patate dolci” ai commilitoni affamati, o quando si mostra restio a uccidere civili innocenti), attraversa l’inferno della guerra (che ha sullo schermo tutte le fattezze di una vera e propria, “selva” dantesca) cercando di restare fedele a quei saldi valori umani, muto testimone della “follia” collettiva che regna intorno a lui, ma finisce con l’arrendersi anch’egli a tale pazzia, sfinito nel corpo e nello spirito dal conflitto inumano. Tornato a casa, l’uomo sembra aver ripreso un’apparente normalità, ma il regista suggerisce che l’animo del soldato è ancora sconvolto, mentre, nel finale, l’apparire (nel corso di un evidente stato di allucinazione) di uno di quei “misteriosi” fuochi davanti ai suoi occhi indica la presenza di un interiore tormento non ancora soffocato.

È difficile, suggerisce il regista, restare essere umani durante le fasi di una guerra e, ancor più difficile, dimenticare le atrocità (subite o commesse) nel corso di una guerra, che segna per sempre l’animo di un uomo. Tale tema, di per sè apprezzabile, è però espresso nel racconto con reiterato e sovrabbondante uso di effetti speciali sanguinolenti e truci, che tradiscono un chiaro intento spettacolare di Tsukamoto, al di là dei noti gusti e delle tendenze “horror” del regista giapponese, e che non trovano giustificazione alcuna nel corso del film, tanto più all’interno di un’opera in concorso in una Mostra d’arte cinematografica. (Manfredi Mancuso)

 


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